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Governance, riforme e partecipazione al potere

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di Ebe Guerra (Consiglio Direttivo Aiga)

Un approccio alla funzione delle classi dirigenti nella società attuale, implica una consequenziale, approfondita analisi del rapporto governance/riforme. Tale binomio non tarda a rivelare un rilievo in termini tassonomici, oltre che ontologici. Il carattere ontologico della dicotomica icona governance/riforme, risiede nella piana constatazione che una qualsiasi classe dirigente chiede l’esercizio di una capacità di stabile governo; “l’Altro”, in senso lacaniano, della governance, è individuabile nella propositività in termini di riforme, che la classe di governo è in grado di esprimere. Meno scontato è invece, il rapporto tassonomico fra governance e riforme, perché se l’una è la struttura, la cornice ordinamentale dell’esercizio del potere dirigenziale e politico, l’altra è la regola secondo cui il primo elemento del fondante “duo” deve esplicitarsi e funzionare. L’elemento mercuriale di tale rapporto è proprio la classe dirigente, senza cui, ben si intende, non vi è spazio espressivo di una governance: non vi è realizzazione di riforme. Il ruolo assolutamente prevalente e prioritario dell’economia e della economicità dei bisogni e dei fenomeni sociali, è una caratteristica dominante (in alcuni casi deviante) dei sistemi di governance succedutisi negli ultimi dieci/quindici anni in Italia. La funzione economica ha assunto un effetto pervasivo di ogni meccanismo decisionale in sede politica. Non vi è legge, dibattito parlamentare, orientamento opinionistico, che non sia guidato dalle redini doppie e determinanti della intrinseca o estrinseca economicità, utilitaristicità della scelta, poi tradotta in legge. Le classi professionali, soprattutto quelle di matrice e di composizione intellettuale, devono necessariamente confrontarsi, quindi, con i temi della “governance” e delle “riforme”, condotte dalla classe politica sotto il grande ombrello della lente di lettura economicamente orientata. Tale fondamentale attenzione di cui possono farsi portatrici le classi professionali, deve muoversi attraverso una sensibile consapevolizzazione, per almeno due ordini di motivi. Il binomio indicato in premessa può porsi sovente in posizione di antiteticità; notevole può essere il ruolo in tale senso della classe professionale, vieppiù di quella che costituzionalmente e tecnicamente è deputata a raccogliere i bisogni e le istanze di tutela dei cittadini, ovvero l’avvocatura. Non di minor importanza, può essere la valenza dei ceti professionali nell’ambito della individuazione e della indicazione dei terreni di possibili riforme come garanzia di governabilità. In tale duplice senso, l’autonomia propria del ceto intellettuale –di cui quello professional-intellettuale è un nodo fondamentale- può svolgere, oltre che il tradizionale ruolo di termometro indicatore del dove va la società con le domande che pone al potere politico, anche quello altrettanto fondamentale di contemperamento e di sentinella rispetto alle spinte invasive, ed in alcuni casi, onnivore, dell’economia. Il grande problema della attuale forma di politica, e quindi di governance (causativa di effetti diretti ed immediati sul modo di fare riforme), è l’eccessiva dilatazione della interpretazione, in chiave pressoché totalitaristica, della visione economica o economista delle problematiche sociali e politiche. Il potere politico –in tanto assolutamente bipartisan- sembra completamente lontano dal comprendere il grande rischio di tale modo di fare politica. Le scelte legislative spesso tradiscono le istanze sociali, realizzando una vera e propria oligarchia ispirata alla parola d’ordine “Economia”. Gli esempi sono molteplici ed una rapida scorsa alle riforme fondamentali varate nella passata, come nella attuale legislatura, non tarda a disvelare che tale è diventato nel nostro sistema il modo di governare. Se tale analisi appare condivisibile, non si tarderà a comprendere il ruolo vitale del ceto intellettuale e specificamente di quello che esprime operativamente la propria vis intellectus, ovvero i professionisti, nel fornire validi contraltari alla unidirezionalità della gestazione di scelte para-politiche, dissimulanti scelte solo economiche. Diceva Pasolini che vi è “una scienza tutta italica”, quella della “partecipazione al potere”: questa può essere un’esortazione, affinché l’avvocatura ed il ceto professionale, più in generale, possano essere dottori di tale “scienza”.
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