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SPECIALE CONGRESSO FORENSE: DOCUMENTO DELL'ORGANISMO UNITARIO DELL'AVVOCATURA

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L’Assemblea dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, riunita in Anzio nei giorni 15/17 settembre 2006,

uditi

i contenuti della relazione politica svolta dal Presidente, in merito all’intervenuta conversione in Legge del c.d. Decreto Bersani, alle iniziative di mobilitazione e di protesta attuate ed in corso da parte dell’Avvocatura e di tutte le professioni, all’ oramai prossimo svolgimento della seconda sessione del XXVIII Congresso Nazionale Forense,

preso atto

della linea politica indicata per l’azione a svolgersi nell’ambito del Congresso Forense, e piu’ in generale in  tema di politica delle professioni e della Giustizia,

approva

la relazione del Presidente e le iniziative tutte poste in essere dal Presidente e dalla Giunta a tutela e salvaguardia dei principi fondamentali della professione forense e del diritto di difesa di cui essa è custode e tutrice, per espresso dettato costituzionale;

rivendica

a merito della ferma e costruttiva azione politica condotta dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura, in una costante e quotidiana dialettica con le forze politiche di ambo gli schieramenti, i risultati positivi ottenuti, ancorchè obiettivamente modesti e del tutto insufficienti a fornire adeguate risposte ai motivati rilievi, puntualmente esposti nelle note critiche tempestivamente diffuse dalla Giunta, e del tutto alieni dall’accoglimento delle proposte formulate, anche con riferimento agli aspetti fiscali, pure contenuti nel censurato provvedimento;

esprime altresì le seguenti considerazioni

 

         La valutazione negativa che l’Avvocatura ha inteso mantenere nei confronti dell’intervento normativo di cui al decreto legge cd. Bersani anche dopo la sua conversione con alcune modifiche al testo originario, trae il suo fondamento dalla considerazione che le limitate, seppur apprezzabili, revisioni operate dalla legge di conversione non cancellano affatto il giudizio di contrarietà al metodo ed al merito della nuova normativa.

         Ciò, non solo per la parte che più direttamente riguarda la professione forense - abolizione dei divieti di pubblicità, del patto di quota lite e della obbligatorietà del sistema tariffario -, per la quale appare comunque giustificato, contro ogni demonizzante e comunque falsa accusa di corporativismo, difendere i legittimi interessi ed i diritti degli avvocati e dei professionisti in generale che ne sono stati, per l’effetto, gravemente compromessi; ma anche e soprattutto, per l’incidenza che la nuova legge ha sulla giurisdizione e quindi sul concreto esercizio della domanda di giustizia, che, secondo la previsione dell’art. 24 della Costituzione che la prevede e la garantisce, si declina a mezzo della difesa tecnica e perciò con l’ineliminabile apporto degli avvocati.

         Una incidenza tesa ad ulteriormente limitare ed in qualche caso ad annullare la capacità di risposta giurisdizionale all’istanza di giustizia, di cui sono indice:

Ø     la riduzione dei fondi statali destinati al comparto giustizia;

Ø     la eliminazione dell’anticipazione a mezzo di Poste Italiane SpA dei costi di giustizia tra cui gli emolumenti dei Giudici di Pace e i compensi per i difensori d’ufficio e dei non abbienti e per i consulenti tecnici di ufficio;

Ø     la tracciabilità dei compensi professionali che, sulla scorta del fumus persecutionis di chi ha individuato nel professionista un potenziale evasore “a prescindere”, ha notevolmente aggravato gli incombenti amministrativi degli studi e la gestione dei rapporti con il cliente.

 

    L’Avvocatura italiana, peraltro, malgrado ogni accusa che le è stata strumentalmente rivolta, non ha mai inteso – come attesta tutta la sua storia - protestare solo a difesa dei suoi pur legittimi diritti, ma anche e soprattutto, quale garante costituzionale del diritto di difesa, a tutela della giurisdizione.

         A chi si è vantato di avere tenuto volutamente nascosto il testo del decreto, nottetempo portato all’approvazione del governo; a chi si è appropriato all’interno della stessa compagine governativa di competenze proprie di altri dicasteri, i cui titolari non hanno né conosciuto né partecipato alla stesura di quello stesso testo supinamente accettandolo; a chi, dopo avere vantato nel proprio programma elettorale il metodo della concertazione, ha rifiutato il dialogo o anche solo l’ascolto, prima, durante e dopo la lavorazione legislativa della novella; a tutti costoro l’Avvocatura italiana risponde di avere da tempo compreso che la prospettiva perseguita non è limitata ai ristretti ambiti della legge n° 248/2006.

Appare chiaro, infatti, che la filosofia dell’iniziativa è orientata e finalizzata a sferrare un forte ed inusitato attacco ad una intera parte del tessuto socioeconomico del nostro paese, di cui le professioni e la piccola e media imprenditoria – aggredita nella stessa logica di sfavore fiscale - sono la nervatura sociale, in una malcelata e financo dichiarata volontà di favorire alcune parti sociali a danno di altre, quasi in una rivisitata forma di lotta di classe da terzo millennio.

Il tutto con l’aggravante di avere usato termini falsificanti, di asserita liberalizzazione e di tutela delle classi sociali più deboli per introdurre, invece, politiche di affidamento ad oligopoli dei servizi professionali, con il risultato finale non solo di aumento dei loro costi, ma anche di controllo dirigistico in danno della indipendenza ed autonomia dei soggetti sociali professionali ed imprenditoriali.

         E’ questa la ragione per cui gli avvocati non si sentono e non sono soli in questa battaglia di libertà, di presidio delle libertà concrete in cui si esplica la vita di chi non vuole essere un mero mercante delle proprie conoscenze e professionalità, di chi, pur vantando la propria qualità di lavoratore – e precisamente di lavoratore della conoscenza - ne ascrive la dignità anche alla capacità di non essere coartato in alcun modo nella declinazione sociale di tale sapienza professionale.

Gli avvocati hanno, poi, la convinzione e l’ambizione di essere l’avanguardia della lotta che tutte le professioni hanno con fermezza intrapreso a tutela di sé e dei propri beneficiati, e cioè dei cittadini che fruiscono dei loro servizi.

         Tanto con la ferma consapevolezza che le forme dell’esercizio professionale pur debbano adeguarsi alle mutate esigenze della società aperta e globalizzata e che, altresì, debbano aggiornarsi gli ordinamenti che presiedono al concreto esercizio della professione.

          Consapevolezza che per anni ha portato l’avvocatura, durante legislature di diverso colore politico, a richiedere, sollecitare ed attendere invano una riforma delle professioni, che appare oggi piu’ che mai essere l’unica modalità di intervento capace di dare una risposta organica e di sistema a tali esigenze di modernizzazione cui non ci si intende sottrarre e che da tempo si rivendica.

         Non si pretende, ovviamente, né di dettare, in modo autoreferenziale, la riforma delle professioni, né di costringere altri alla concertazione, ma solo di affermare come imprescindibile il colloquio preventivo che sappia far conoscere al legislatore la realtà da normare e valorizzare l’apporto di contributi e di esperienza che tale colloquio consente, nell’ottica non già di prevaricare ma di comprendere le effettive esigenze e peculiarità delle categorie oggetto di intervento.

         Non può essere accettata, quindi, né ora né in futuro, una modalità di intervento che privilegi “blitz” notturni ad un corretto e fisiologico, dialettico e costruttivo rapporto con le forze economicosociali, e tra esse con le professioni e con l’Avvocatura.

         E non va sottaciuto che qualsiasi intervento riformatore che non incida realmente ed in modo efficace e determinante sulla soluzione dei problemi che affliggono la giustizia suona oggi come una tragica farsa.

         Che cosa, infatti, ha a che fare con le sbandierate concorrenza e  liberalizzazione il deciso taglio delle risorse economiche destinate al funzionamento della giustizia?

         Che cosa ha a che fare con la concorrenza e la liberalizzazione l’aumento indiscriminato del contributo di iscrizione a ruolo per le controversie amministrative, se non si interviene poi per modificare la natura ormai esclusivamente cautelare della giustizia amministrativa e per evitare che il giudizio di merito intervenga dopo anni ed anni dal fatto?

         E perché questo governo, sensibile a suo dire alle aspettative sociali, ha in tal modo colpito senza alcuna distinzione sia il cittadino costretto a difendersi da un torto subito da un ente pubblico che la grossa impresa, estromessa magari da un appalto milionario?

         Che cosa ha a che fare con la concorrenza e la liberalizzazione l’attuale perdurante impossibilità per i giovani avvocati di ottenere il compenso della loro attività professionale per le difese officiose svolte in conseguenza del blocco dei pagamenti tramite anticipazione delle Poste?

         Quella giovane avvocatura i cui interessi questa compagine governativa e il decreto Bersani pur dicono di voler favorire.

         La verità è che a distanza di quasi cinque mesi dal varo della nuova legislatura questa maggioranza non ha, in modo serio, messo mano a nessuna delle iniziative in materia di giustizia esposte nel programma elettorale, né, a voler seguire le dichiarazioni del ministro, sembra che tale intenzione vi sia.

         Ed è a dir poco provocatorio sentire il ministro affermare :

ü     che il problema delle inammissibili lungaggini della giustizia civile si risolve intervenendo sul sistema delle impugnazioni, riducendole contro ogni ragionevolezza;

ü     che in Italia si fanno troppe cause con un costo insopportabile;

ü     che insostenibile è il costo delle difese di ufficio;

ü     che occorre prevedere il modo ed il sistema di ovviarvi ipotizzando la creazione di appositi uffici (questo sempre e si fa per dire  per favorire i giovani avvocati);

ü     che gli ordini professionali vanno di fatto sostituiti “da un organismo pubblico a composizione interministeriale e costituto presso il ministero della Giustizia”.

         E se questo è lo stato dell’arte, se si continua cioè a ritenere che per la giustizia le risorse economiche dello Stato devono necessariamente essere e restare limitate, se si continua a restare in attesa di conoscere quanta parte del contributo unificato di iscrizione a ruolo va alla Giustizia e quanta parte, invece, alla fiscalità generale dello Stato, se si continua ad ingannare l’opinione pubblica attribuendo all’avvocatura inesistenti responsabilità nella oramai cronica crisi della giustizia, se nessuna seria iniziativa si intravede nella direzione di una drastica ed urgente inversione di rotta, se tutto questo è vero, l’avvocatura italiana ha validissimi motivi, oltre ed a prescindere da quelli scaturenti dal decreto Bersani, per protestare e gridare la propria indignazione.

         L’avvocatura italiana, che da tempo si è volontariamente prestata in opera di sostituzione e surrogazione nell’esercizio della giurisdizione, con i giudici onorari di Tribunale ed i giudici onorari aggregati, opera tanto preziosa quanto misconosciuta, e che, in ossequio alla sua rilevanza costituzionale, si è adoperata e si adopera nella gestione delle difese di ufficio e nel patrocinio dei non abbienti – rilevanti funzioni di tutela e garanzia e di indubbia rilevanza sociale -, è stanca di essere per contro pregiudizialmente additata come categoria che, vessando “il cittadino consumatore”, evade le tasse. E soprattutto è stanca di assistere alla catastrofe giudiziaria italiana.

         E l’avvocatura italiana è stanca anche di essere oggetto di “indecenti”  ed abusate accuse, come quella fatta propria anche da autorevoli rappresentanti della odierna maggioranza, secondo i quali “la lite piu’ pende, più rende”, con la conseguenza che l’avvocato italiano avrebbe motivo per far durare le cause all’infinito e, quindi e paradossalmente, sarebbe – esso e solo - responsabile della irragionevole durata dei processi, delle innumerevoli condanne subite dallo Stato in Europa, dello stato di perenne indagine, prossima al vero e proprio “commissariamento”, disposta dagli organi comunitari sul malfunzionamento del sistema giustizia italiano, che di fatto non consente piu’ il corretto esplicarsi di tale fondamentale funzione dello Stato di diritto.

         In altri termini, è questo il momento in cui non è piu’ possibile continuare a sopportare senza far nulla e, quindi, vi sono tutti i motivi per proseguire l’agitazione e la mobilitazione in atto, anche attraverso l’adozione di diversificate forme di protesta oltre all’astensione dalle udienze, mezzo estremo cui si è dovuto  far ricorso, e tra esse la ferma richiesta, in ogni foro, a che sia rispettata rigidamente la legge: ad esempio pretendere ossequio rigoroso di tutte le norme che disciplinano il processo (dalla presenza ed assistenza del Cancelliere nelle udienze, al divieto dello svolgimento di attività giurisdizionale da parte di soggetti diversi da quelli previsti dalla legge e dalla Costituzione, ad ogni altra forma di gratuita supplenza anche di carattere materiale).

         In aggiunta a ciò ci si propone di valutare l’opportunità – oggi consentita proprio dalle avversate disposizioni del decreto Bersani – di attuare una volta al mese, quantomeno finchè permarrà l’attuale stato delle cose, una “giornata dell’avvocatura per la tutela dei diritti”, nella quale fornire consulenza gratuita ai cittadini, adeguatamente pubblicizzata, diffondendo nell’occasione un documento che succintamente e chiaramente evidenzi l’interesse primario dell’utente a sostenere in prima persona le ragioni della protesta.

         Resta ferma, in ogni caso, la volontà dell’Oua di attuare, a tutela e salvaguardia degli avvocati italiani, dei diritti e valori, anche di rilevanza costituzionale, di cui sono custodi, e di principi irrinunciabili, salvaguardati anche a livello europeo, tutte le iniziative ritenute opportune in ogni sede giurisdizionale, sia nazionale che comunitaria.

         L’Avvocatura, quindi, a fronte di visioni riduttive e limitanti, scarsamente rispettose del dettato costituzionale,  riafferma il proprio ruolo di garante professionale e necessario per la tutela dei diritti, per l’esercizio della difesa e per la composizione dei contrasti in un ambito di civile, dialettica e corretta convivenza.

         La seconda sessione del XXVIII Congresso Nazionale Forense – cui significativamente parteciperanno tutte le componenti dell’Avvocatura - rappresenterà nei prossimi giorni l’occasione per offrire agli interlocutori ed all’opinione pubblica elementi reali di analisi e di riflessione, unitamente a proposte concrete di intervento, sia nel settore delle professioni e dell’ordinamento forense, che in tema di Giustizia in generale, al fine di evitare che i cittadini siano piu’ a lungo e volutamente indotti, contro i propri interessi, a valutare negativamente ed a svilire le ragioni dell’avvocatura italiana.

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Roma – 26 marzo. Ore 9,30 Sala Conferenze Camera dei Deputati. Dibattito pubblico “La Riforma delle Professioni che vogliamo”. Organizzato da Assoprofessioni. >>>