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l'opinione

Professionisti creativi per la competitività

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di Gian Paolo Prandstraller *

Il concetto di “competitività” - quasi sempre associato a quello di produttività - è divenuto caval di battaglia d’ogni imprenditore che voglia essere à la page; è in particolare il vessillo agitato da Luca Cordero di Montezemolo per rilanciare l’economia Italiana. Senza dubbio si tratta d’una nozione essenziale all’economia politica del nostro tempo. Domanda: cos’è la competitività? Rispondo nel seguente modo: E’ la capacità di saper produrre manufatti o servizi che siano migliori e più richiesti di quelli posti sul mercato dai nostri concorrenti. Il sistema industriale è stato sempre competitivo. È sotto il segno della competitività che nel corso dell’industrialismo si sono viste emergere certe imprese e soccombere altre. Ma il ritmo di questo avvicendamento è divenuto più intenso nel postindustriale, quando la competitività ha iniziato a basarsi su un fattore particolare e nuovo, la “conoscenza scientifica”. Oggi chi non possiede strumenti economici di tipo scientifico, nuove acquisizioni tecnologiche o prodotti di nuovo genere, non è più in grado di operare sul mercato né di competere. I paesi industriali si distinguono sempre più da quelli non industriali perché possiedono un supporto strutturale adatto alla ricerca scientifica. La scissura basata sul possesso o meno di apparati scientifico-tecnologici è senza dubbio drammatica, perché simili apparati sono fonte d’un immenso potere, e al contrario la loro assenza è matrice di sottosviluppo e miseria. Ciò significa che la nozione di competitività non è soltanto volontaristica: dipende in realtà dal possesso di strutture culturali e umane che permettano di aggiungere continuamente qualcosa al conosciuto mediante la ricerca e le idee nuove. In un quadro simile è inevitabile porre una seconda domanda: chi è in grado di realizzare l’innovazione scientifica? Quale attore di produzione può effettivamente attuarla? - La risposta del Presidente Montezemolo (e in generale di Confindustria) è molto semplice: l’Impresa. Di qui una sorta di deificazione di questo ente, considerato il realizzatore effettivo dell’innovazione e, attraverso questa, del processo competitivo. Ne nasce un atteggiamento agiografico pro-impresa che a mio avviso nasconde un errore: omettere di domandarsi chi, nell’impresa o per l’impresa, attua i procedimenti di “ricerca” e più in generale, di “ideazione”, di ciò che è volta a volta innovativo e competitivo. Chi possiede tali virtù non è in generale “l’imprenditore”. Sono i tecnici, i professionisti, i creativi, il cui lavoro di pensiero e di ricerca è utilizzato dall’imprenditore per realizzare le proprie performances competitive sul mercato. Senza tecnici, professionisti, creativi, lanciati alla continua ricerca del nuovo, è praticamente impossibile che un’impresa sia competitiva, anche se acquista e utilizza prontamente e frequentemente brevetti altrui. Di qui l’eccellenza e la solidità delle aziende che hanno un rapporto strettissimo con le citate categorie intellettuali: sia all’interno (manager e dipendenti professionali, come ingegneri, biologi, chimici, matematici, architetti, psicologi, medici, designer, informatici, ecc.), sia all’esterno (professori e ricercatori universitari, consulenti di vario tipo, ingegneri, architetti, avvocati, commercialisti, tributaristi, consulenti del lavoro, ecc.). Si tratta di personaggi che rientrano nella vasta categoria dei “lavoratori della conoscenza”, una frangia sociale che dagli anni ’90 in poi continua a svilupparsi e sta diventando la nuova classe sociale, la classe media trasformata in senso nettamente professionale. Perciò ignorare tale classe o pretendere di strumentalizzare quest’ultima senza associarla ai meccanismi conoscitivi dell’impresa è un grande errore. L’imprenditore è un soggetto importantissimo nella produzione, ma accanto a lui vi sono le figure altrettanto determinanti dei professionisti e dei creativi. Un paese che non cura lo sviluppo e il miglioramento dei suoi professionisti e dei suoi creativi (e non li paga adeguatamente) non ha chances reali di competitività. La politica di repressione del sistema delle professioni intellettuali seguita da Confindustria, è contraria alla logica della competizione moderna e nociva all’economia nazionale. L’auspicio è che questa ristretta visione sia presto sostituita da una proficua collaborazione tra imprenditori e professionisti e creativi. Se questa collaborazione sarà introdotta il paese ne trarrà grande vantaggio.

* Gian Paolo Prandstraller, professore Ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze Politiche dell' Università di Bologna è autore di numerose opere teoriche e di ricerca, prevalentemente orientate ai campi del lavoro intellettuale, delle professioni, delle organizzazioni e delle associazioni professionali.

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