aa

l'opinione

L'Inpgi è nuovamente ente pubblico

stampa

La Finanziaria cambia la sostanza della natura giuridica dell'Istituto previdenziale

L'Inpgi (l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti), dal 1995 Fondazione di diritto privato, torna ad essere ente pubblico grazie a un comma della legge 296/2006 (Finanziaria per il 2007). Il comma 763 dell'articolo 1 della legge 296/2006, - che modifica il comma 12 dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1995 n. 335 (riforma Dini) -, cancella il primo e il secondo periodo dello stesso comma 12 e li sostituisce con i seguenti: "Nel rispetto dei princìpi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni". Dalla "Riforma Dini", quindi, sono escluse oggi le forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria: l'Inpgi è l'unica cassa sostitutiva dell'Inps (art. 76, punto 4, della legge 388/2000). L'Inpgi, quindi, non ha l'obbligo di preparare previsioni attuariali proiettate fino al 2037. L'Inpgi, invece, ha l'obbligo di avere una riserva tecnica pari a 5 annualità delle pensioni pagate nel 1994. Il comma 763 significa in sostanza che l'Inpgi ha natura pubblica e che è diverso dalle altre casse. Il comma 763, quindi, cambia la sostanza della natura dell'Inpgi. Di questo dato ha tenuto conto la sezione lavoro della Corte d'Appello di Milano, quando, con la sentenza 190/2007, ha dichiarato "la illegittimità della norma di cui all'art. 15 del Regolamento Inpgi perché contraria alle norme di legge che ammettono il cumulo tra reddito di lavoro e pensione di anzianità". I principi di autonomia previsti dall'art. 3 (comma 12) della legge 335/1995, grazie al comma 763, sono stati cancellati dall'ordinamento soltanto per quanto riguarda l'Inpgi. Rimane per l'Istituto, quindi, unicamente il dovere e l'obbligo del coordinamento con la normativa Inps imposto dall'art. 76 della legge 388/2000. L'Inpgi è una realtà diversa rispetto alle altre casse come emerge da una vecchia sentenza della Corte costituzionale. Con la sentenza 214/1972 la Consulta ha scritto che è "insussistente l'analogia fra la cassa di previdenza dei giornalisti e quelle degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei geometri.. Ancora meno sussiste poi una analogia tra la struttura e gli scopi della cassa dei giornalisti e le finalità di quella dei liberi professionisti di cui si è detto, perché la prima, e cioè l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "Giovanni Amendola" (legge 20 dicembre 1951, n. 1564), cui possono iscriversi solo i giornalisti che hanno in atto un rapporto di lavoro, sostituisce a tutti gli effetti le corrispondenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie (art. 1) e cioè non solo quelle attinenti alla pensione di vecchiaia e invalidità, ma anche quelle che concernono la disoccupazione involontaria, la tubercolosi, le malattie e gli assegni famigliari (art. 3), mentre le ricordate casse di liberi professionisti hanno compiti ben più limitati e circoscritti. In sostanza, la cassa dei giornalisti costituisce un settore autonomo del complesso sistema previdenziale predisposto a tutela dei lavoratori dipendenti e i cui compiti sono assolti principalmente dall'INPS e dall'INAM". Questo principio è diventato norma ordinaria con il comma 763 della legge 296/2006 (Finanziaria per il 2007). L'articolo 76 della legge 388/2000 (Finanziaria per il 2001) modifica l'articolo 38 della legge 416/1981 sull'editoria e afferma che "l'Istituto, - ai sensi delle leggi 1564/1951; 1122/1955 e 67/1987 -, gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e provvede altresì ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti". Chi ha messo mano alla stesura del testo - che allarga la copertura ai pubblicisti mentre la legge 67/1987 l'ha estesa ai praticanti - ha sorretto il ruolo pubblico dell'Istituto, citando non solo la legge 1564/1951, ma anche le leggi 1122/1955 e 67/1987 (o legge-bis sull'editoria). Le leggi !564 ("Rubinacci") e 1122 ("Vigorelli") in sostanza dicono che "la previdenza e l'assistenza, fornite dall'Inpgi, sostituiscono a tutti gli effetti, nei confronti dei giornalisti, le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza obbligatorie" e che "all'Inpgi si applicano tutti i benefici, privilegi ed esenzioni tributarie previsti per l'Inps" nonché "le disposizione di legge o di regolamento vigenti per le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza sociale delle quali quelle gestite dall'Istituto sono sostitutive". L'articolo 26 della legge 67/1987 ripete che l'Inpgi "gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti". Il legislatore del 2000 così ha driblato il Dlgs 509/1994, che ha trasformato, dal 1° gennaio 1995, le casse previdenziali dei professionisti (iscritti negli Albi tenuti dagli Ordini e dai Collegi) in associazioni o in fondazioni con personalità di diritto privato, che svolgono, comunque, funzioni pubbliche (individuate nella erogazione delle pensioni). Secondo l'articolo 1 dello Statuto, "l'Inpgi, già riconosciuto con Regio Decreto 25 marzo 1926 n. 838, è una fondazione dotata di personalità giuridica di diritto privato incaricata di pubbliche funzioni a norma dell'articolo 38 della Costituzione, con autonomia gestionale, organizzativa e contabile, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 30 giugno 1994 n. 509". Nel testo dell'articolo 76 della legge n. 388/2000, però, la parola "Fondazione" è ignorata: l'Inpgi è di nuovo configurato come un ente pubblico. Il Parlamento ha semplicemente ammodernato il testo dell'articolo 38 originario della legge 416/1981 ritoccato, come detto, dalla legge 67/1987. I consiglieri dell'Inpgi, secondo lo Statuto, sono incaricati di pubblico servizio e sono, invece, pubblici ufficiali in base all'articolo 76 della legge 388/2000. Dice il comma 4 dell'articolo 76 della legge 388/2000: "Le forme previdenziali gestite dall'Inpgi devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive". In sostanza l'Inpgi deve coordinare le sue decisioni con le norme che regolano le prestazioni fornite dall'Inps ed è tenuto, ad esempio, ad applicare l'articolo 72 della legge 388/2000. Questo articolo dal 1° gennaio 2001 consente la cumulabilità tra "le pensioni di vecchiaia e le pensioni liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, anche se liquidate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, con i redditi da lavoro autonomo e dipendente". Leggendo in modo unitario l'articolo 76 e il comma 763 si può affermare, quindi, che l'Inpgi torna ad essere ente pubblico. Si sa che le leggi nuove abrogano quelle vecchie anche tacitamente, quando le disposizioni sopravvenute sono incompatibili con le precedenti (articolo 14 delle preleggi al Codice civile). La Corte costituzionale (sentenza 437/2002) ha limitato l'autonomia delle casse privatizzate ritenendo prevalente il diritto all'uguaglianza sulle esigenze di bilancio. E' noto che i ragionieri possono cumulare pensione di anzianità e reddito da lavoro dipendente o autonomo. Questo principio, fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 437/2002, vale ovviamente per i professionisti (medici, commercialisti, giornalisti, veterinari, chimici, etc) iscritti nelle altre Casse previdenziali trasformate dal dlgs n. 509/1994 in Fondazioni (è il caso dell'Inpgi) o in Associazioni di diritto privato. Gli avvocati avevano già spuntato un'analoga sentenza (n. 73/1992) dalla Consulta. Nella sentenza n. 437/2002 si legge: "E', infatti, da osservare anzitutto che il perseguimento dell'obiettivo tendenziale dell'equilibrio di bilancio non può essere assicurato da parte degli enti previdenziali delle categorie professionali .... con il ricorso ad una normativa che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in una violazione dell'art. 3 (pari dignità sociale e uguaglianza, ndr) della Costituzione. L'iscrizione ad albi o elenchi per lo svolgimento di determinate attività è, infatti, prescritta a tutela della collettività ed in particolare di coloro che dell'opera degli iscritti intendono avvalersi". L'ordinamento in sostanza non consente la politica dei due pesi e delle due misure. Il principio della pari dignità sociale e dell'uguaglianza vince. Sempre. Non sono ammessi trattamenti differenziati tra ragionieri e giornalisti sul piano pensionistico. Di questa pronuncia c'è traccia nella sentenza 190/2007 della sezione lavoro della Corte d'Appello di Milano, quando afferma: "Deve del resto rilevarsi che se l'autonomia lasciata agli enti privatizzati nella gestione economica-finanziaria ha lo scopo di tendere appunto all'equilibrio di bilancio e che tale scopo il legislatore ha consentito che si realizzasse attraverso l'adozione dei provvedimenti nelle materie prima ricordate, non consentire il cumulo agli iscritti ad istituti previdenziali che, sia pure privatizzati, sono tuttavia soggetti che gestiscono una forma sostitutiva dell'AGO, appare irragionevole sotto il profilo della disparità di trattamento, in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Ciò tanto più nel caso dell'Inpgi, a cui debbono iscriversi obbligatoriamente anche i giornalisti con rapporto di lavoro subordinato ed al quale il legislatore, sin dall'81, poi confermandolo dopo la privatizzazione del '94, ha imposto un dovere di coordinamento con le norme generali della previdenza sociale obbligatoria".

di Franco Abruzzo/presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia

ultim'ora

Hacked By attacker >>>


Roma – 26 marzo. Ore 9,30 Sala Conferenze Camera dei Deputati. Dibattito pubblico “La Riforma delle Professioni che vogliamo”. Organizzato da Assoprofessioni. >>>


Cronistoria dell’attacco alle professioni: da Amato a Bonino via Bersani. >>>