Giusto processo addio
di Salvatore Frattallone*
Gli Avvocati italiani si sono battuti tenacemente in questi anni per ottenere, nella Carta costituzionale, il riconoscimento di un processo “giusto”, quasi a ribadire che quelli che venivano celebrati nelle nostre aule di Giustizia spesso non lo erano affatto. Sono stati anni turbolenti, contrassegnati da astensioni dall’attività giudiziaria e pubbliche proteste ma anche caratterizzati da numerosissimi contributi offerti dai rappresentanti dell’avvocatura al dibattito politico: un percorso tortuoso, difficile, lento, che tuttavia ha consentito un deciso passo in avanti sul piano del rispetto dei diritti. Con il recentissimo disegno di legge licenziato dal Governo si torna, invece, indietro, compiendo quello che il Presidente dell’Aiga ha definito un passo verso “l’ingiusto processo”. Rispetto all’originaria formulazione del ministero della Giustizia, il testo ha subito un maquillage che non elimina numerose e rilevanti criticità. È ben vero che sono state eliminate alcune incredibili aberrazioni, attraverso le quali si interveniva sul regime delle nullità, sulle impugnazioni cautelari, sull’incidente probatorio e si svuotava il contraddittorio. Ma non è men vero che si tratta di modifiche che, lungi dall’operare il necessario riequilibrio tra accusa e difesa nel procedimento e nel processo, nel dichiarato intento di snellire la fase del giudizio, sacrificano in modo inaccettabile le garanzie dell’imputato. Non è infatti concepibile che venga modificato il regime di inutilizzabilità degli atti processuali, limitandolo alle sole ipotesi di violazione dei diritti costituzionalmente tutelati, spalancando le porte all’ingresso nel processo ad atti che si assumono assunti in violazione di legge. Così pure, non si può transigere sul rispetto del principio dell’immutabilità del giudice naturale. Ed ancora, non può essere condiviso il colpo di mannaia alla disciplina della prescrizione del reato, aumentandone la durata (a dispetto della riduzione dei termini delle singole fasi processuali programmati per legge) ed inserendo una serie di ipotesi interruttive e sospensive, che ovviamente importano una ulteriore dilatazione dei tempi del processo. Se si vuole rispondere alla condivisibile esigenza di assicurare la durata ragionevole del processo – ed occorre attentamente riflettere proprio sul termine ragionevole – non può prescindersi dalla esperienza comune che quotidianamente ci ricorda che i rinvii ordinari delle udienze sono di diversi mesi, spesso dovuti «al pesante e crescente carico dei procedimenti che gravano sull’ufficio del giudice». Questo solo per ricordare il principale nodo irrisolto dell’intervento normativo. Qualche opportuna previsione, dall’abbandono del “doppio binario” della ex Cirielli all’introduzione della messa alla prova per reati cosiddetti minori (ma perché è stata abbandonata la previsione di improcedibilità per irrilevanza del fatto?) non basta per salvare la novella. C’è da sperare che il cammino parlamentare consenta un profondo ripensamento delle scelte sottese a questo progetto di riforma, privilegiando piuttosto che l’ennesimo intervento settoriale, un intervento organico che consenta di attuare i principi costituzionali del giusto processo. *Avvocato Segreteria del Presidente Aiga