Studi di settore: Parametri rigidi e lontani da realtà
di Helga Thaler Ausserhofer
Le piccole imprese non riescono a rientrare nei parametri fissati dagli studi di settore. Gli incrementi dei ricavi medi che scaturiscono dalle elaborazioni risultano spropositati rispetto alla reale attività aziendale. In particolare, sono le attività definite come marginali, ad esempio quella degli affittacamere, che incontrano le difficoltà più grandi una larghissima maggioranza di questa categoria, più del 90%, non rientra nei parametri. Il Governo deve rendersene conto e accogliere le richieste presentate sull’argomento già in sede di discussione della Finanziaria, quando, insieme ad altri colleghi, avevamo illustrato tutte le difficoltà che si sarebbero presentate nella fase applicativa dei nuovi meccanismi di valutazione del reddito prodotto dalle piccole imprese. Si è puntualmente verificato il disastro che si era previsto riportando dati allarmanti che collocano tra il 40 e il 70% ( a seconda delle categorie) il numero delle piccole imprese che risulta incoerente agli studi di settore. Come se non bastasse la lettera predisposta dall’Agenzia delle Entrate nel caso di incongruenza a tali studi, riscontrata nelle dichiarazioni dei redditi presenti e passate, annuncia l’avviamento automatico delle procedure di controllo, senza tener conto delle nuove regole della finanziaria che hanno riscritto la normativa degli studi di settore, con l’introduzione degli indici di normalità economica e di incoerenza. È dunque necessario che il governo segua con estrema attenzione l’intera vicenda se, davvero, vuole evitare la progressiva sparizione della piccola impresa dal panorama produttivo italiano. Sarebbe auspicabile tornare a tassare il reddito effettivo e non quello presunto.