Una delusione lo slittamento della legge 43/2006
di Giuseppe Rovelli (presidente del Collegio Ipasvi Torino)
La decisione del Governo di far slittare di altri 12 mesi (settembre 2008 anziché settembre 2007) l’entrata in vigore della Legge 43/2006 getta tetri presagi sul futuro dei Collegi professionali italiani, IPASVI in testa, di fatto congelando l’istituzione di nuovi ordini nelle professioni sanitarie che non siano quelle mediche. Non nascondiamo il nostro disappunto di fronte a questa risoluzione, ennesima prova di come in realtà il riconoscimento della qualità intellettuale del lavoro compiuto oggi dagli infermieri, laureati in possesso di master e di specializzazioni universitarie, sia ancora ben lungi dall’essere condivisa e riconosciuta. Un vero e proprio passo indietro che lascia interdetti, per altro anche contrario allo spirito di rinnovo, crescita e ottimizzazione dei servizi che deve essere patrimonio proprio di un sano processo evolutivo del mondo della sanità così come avviene anche in altri paesi. Ma analizziamo in sintesi le principali negatività che questa posizione inevitabilmente genera e il perché sia necessario oggi compiere quel passo in avanti che permetterebbe di ottenere il riconoscimento in ordini delle professioni sanitarie. Lasciando da parte il riconoscimento dovuto a laureati molto preparati, come sono gli infermieri moderni, i quali va ricordato hanno abbandonato da tempo la loro funzione “mansionaria” per entrare nel mondo professionistico, con i vantaggi e le responsabilità anche giuridiche del caso, che li ha posti come figure che affiancano i medici all’interno delle aziende sanitarie, il primo grande dubbio che viene da porre riguarda l’etica e la deontologia. Se infatti questo spirito “falsamente liberistico” che il Governo attuale tenta di utilizzare per demolire gli Ordini professionali e anche i Collegi, salvo poi sostituirli con non meglio definite associazioni di ispirazione vagamente cooperativa, dovesse riuscire nel suo intento, che fine farebbe la tutela del cittadino, del paziente, del fruitore dei servizi sanitari che solo un Ordine, o nel nostro caso un Collegio, può avvenire nei confronti di aspetti come la deontologia, l’etica, la certificazione che determinati professionisti siano tali perché possiedono caratteristiche e preparazione che li rendono tali? Chi potrà tutelare, come oggi fa l’Ipasvi, il normale cittadino sui servizi a lui forniti da una struttura o da una equipe di professionisti siano essi impiegati nella libera professione o nelle aziende sanitarie pubbliche? Per capire meglio di che tipo di tutela stiamo parlando basti ricordare la situazione odierna degli infermieri stranieri, impiegati tramite agenzie interinali o altre società all’interno delle nostre strutture ospedaliere in numero sempre crescente e sempre più problematico. Ci domandiamo chi potrà garantire che essi abbiano superato quanto meno una prova di conoscenza della lingua italiana (come oggi invece avviene grazie al Collegio degli Infermieri) certificando il risultato. Se ciò non fosse più possibile ne deriverebbe immediatamente un decadimento della qualità del servizio erogato che andrebbe a scontarsi direttamente sulla pelle del paziente (immaginiamo in un caotico pronto soccorso un infermiere straniero a digiuno di italiano che fa confusione sulle informazioni che gli vengono fornite o non riesce a spiegare le urgenze di cui si sta occupando). Per non parlare poi della necessità di un controllo più severo dei livelli di preparazione globale degli stessi stranieri rispetto agli infermieri laureati italiani, abituati a rispondere a standard qualitativi molto alti e impegnativi che in certi paesi dell’est europeo non trovano riscontro. Al di là del singolo caso, però, vi sono altre questioni che rendono necessaria la nascita degli ordini delle professioni infermieristiche. Pensiamo ai laureati, a coloro che hanno frequentato dopo il corso di laurea anni di master o specializzazioni, ai professori di infermieristica ricercatori, a tutte le figure specialistiche che operano nelle moderne strutture. La loro è a tutti gli effetti una professione intellettuale al pari di quella dei medici, degli ingegneri, di tutte le altre professioni intellettuali oggi riconosciute. Perché negare loro questa che non è una appartenenza ma una realtà di fatto? L’andare verso una realtà dove ordini e collegi vengano cancellati in favore di non meglio definibili associazioni avrebbe un effetto devastante in un’area tanto delicata come è quella investita dal diritto, che è garantito costituzionalmente, alla salute. È infine semplicemente assurdo il voler continuare a rimandare l’attuazione della delega su di una legge che è stata già approvata e che riguarda non meno di 500.000 operatori in tutta Italia che sono in attesa di vedere riconosciuto il loro diritto di appartenere a un ordine professionale. Sinceramente da questo Governo ci aspettavamo qualche cosa di meglio che una inutile guerra di posizione politica, soprattutto in un campo in cui, oltre agli infermieri, i primi a pagarne le conseguenze saranno senza dubbio gli utenti. Proprio quei semplici cittadini a favore dei quali invece si dovrebbe operare, con un incrollabile senso del dovere, sempre tendendo al miglioramento e all’eccellenza sanitaria a prescindere dagli interessi di palazzo.