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l'opinione

Quella dell’ingegnere è una professione intellettuale?

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di Marco Ghionna – Presidente Coordinamento Nazionale Giovani Ingegneri

In data 4 giugno scorso, è apparso un articolo dal titolo “Riforma professioni: nuove audizioni alla Camera”. Il sottotitolo recitava “da Confprofessioni numerosi emendamenti al testo del Governo”. Nel corpo dell’articolo, compariva il seguente brano «[…] Le società professionali, ad esclusione dell’Area tecnica, non possono avere al loro interno terzi soggetti considerati esclusivamente soci di capitale anche se di minoranza, in quanto il professionista rischierebbe di diventare un semplice dipendente senza alcuna autonomia, o peggio ancora un prestanome, principi fondamentali che devono rimanere saldi nell’ottica della riforma (art. 9 comma 1 lettera b) e comma 4) […]». A seguito di una ricerca, nel documento scaricabile riportante le proposte di Confprofessioni, risultava in effetti quanto segue: «[…] prevedere che restino salve, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di società di ingegneria di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, nonché le disposizioni emanate in attuazione delle direttive comunitarie, in particolare dall'articolo 19 della legge 21 dicembre 1999, n. 526;[…]». A parte la sensazione di stordimento di fronte a proposte di questo tenore, e senza ricordare sommessamente che ingegnere deriva da ingenium, sorgono spontanei alcuni interrogativi. Come si fa a dar credito ad una Confederazione Sindacale Italiana Libere Professioni che determina differenze sostanziali nel trattamento dei diritti e della salvaguardia tra le singole professioni? Come si fa ad escludere l’area tecnica dall’assalto arrembante delle società di capitali? La cosa più grave è che queste teorie vengono giustificate come un mezzo per permettere maggiore inserimento per i giovani professionisti. Le opere tecniche, secondo “questi qualcuno” che collaborano alla distruzione della categoria, si progettano forse con i capitali? Se è così, allo stesso modo e con gli stessi capitali si vincono le cause, si curano i pazienti, si redigono i documenti economici e finanziari o gli atti notarili. Nessuno ha il diritto di cambiare la storia della cultura professionale, lasciando le conseguenze a chi rimane. Nessuno ha il diritto di innescare micce tra classi per sminuire l’azione coordinata e sinergica tesa al raggiungimento di una recuperanda dignità. Nessuno ha il potere di affiancare la politica più sorda in azioni di pura delegittimazione professionale. Il fatto che le battaglie si vincano rimanendo uniti è storia consolidata; per noi è tempo di avanzare una proposta e portarla all’attenzione dei professionisti di ogni settore e di una classe politica che oggi ci appare perlomeno impreparata. La vera novità, l’unica proposta fattibile e realizzabile, è la determinazione di un meccanismo di vera meritocrazia senza ambiguità. L’Alleanza tra giovani professionisti vuole dare risposta concreta alla azione in itinere di disgregazione delle parti professionali. I giovani ingegneri sono consapevoli del ruolo, e hanno chiaro quali sono i mezzi per permettergli una vera partecipazione nel mercato. Non si abbattono le logiche lobbistiche rimpiazzando i vecchi oligopoli con i nuovi. E’ la storia dell’italietta che non può più proseguire, pena la disgregazione sociale e la perdita di credibilità totale di un popolo. Qualora la classe politica dovesse accettare questo tipo di proposte, o peggio, farsene interprete, dovrà smettere di chiedersi retoricamente perché la società civile non si riconosce più in essa e dovrà accettare di buon grado il giudizio dei cittadini e degli elettori, e della storia. I giovani ingegneri non possono premiare chi ha intenzione di porre le basi alla ridicolarizzazione globale di una professione storica, nel tentativo di spegnere la scintilla dell’ingegno e con essa quella della libertà personale.
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