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l'opinione

Una nuova agricoltura a compartecipazione statale

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di Pantaleo Mercurio (presidente Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali )

Il comparto agricolo è uno solo ma esistono diverse agricolture, che svolgono ruoli e funzioni diversi. Come a livello gestionale e tecnico-agronomico non è possibile un confronto diretto tra un’impresa di pianura e una di collina per realtà tanto diverse, non è possibile adottare identiche politiche e stesse tipologie di intervento. Le finalità di queste due tipologie di aziende sono infatti profondamente diverse, l’una votata prevalentemente alla produzione e al mercato, l’altra alla tutela dell’ambiente e alla salvaguardia del territorio. I costi di produzione dell’agricoltura marginale (collina e montagna) non consentiranno mai alle aziende site in tali zone disagiate di competere sui mercati nazionali e internazionali. È ora di prendere atto che la qualificazione e la formazione degli imprenditori, il marketing e la promozione e in generale tutti gli interventi di sostegno all’agricoltura finora sperimentati sono validi, se ben utilizzati, per le aziende che possono così raggiungere alti livelli di competitività, non certo per l’agricoltura marginale, i cui costi di produzione sono spesso difficilmente comprimibili. Il risultato è l’abbandono delle aree più difficili, quelle di collina e di montagna, laddove la presenza dell’uomo e la “manutenzione” del territorio sono più necessarie. I Dottori Agronomi e Dottori Forestali chiedono quindi che si faccia chiarezza, distinguendo tra misure di integrazione del reddito volte a finalità ambientali e provvedimenti mirati a migliorare la competitività d’impresa nelle aree più vocate e produttive. Fare agricoltura in collina e montagna sarà sempre un’attività in perdita perché il premio di prezzo che si dovrebbe pagare alle derrate alimentari che vi si producono è sproporzionato rispetto alle quotazioni di mercato, con l’ovvia conseguenza che queste aziende oggi hanno enormi difficoltà nella commercializzazione, anche se sostenute da imponenti operazioni di marketing finanziate dallo Stato o dalla Ue. Occorre pertanto rovesciare il paradigma, prendere atto che l’agricoltura marginale non sarà mai, in sé e per sé, remunerativa ma che svolge un insostituibile ruolo sociale e culturale. La tutela della biodoversità e delle tradizioni rurali, la salvaguardia dell’ambiente e del territorio, il contrasto ai cambiamenti climatici, la difesa da dissesti idrogeologici sono tutti compiti che possono essere assegnati a questi agricoltori, imprenditori “sociali”. È ovvio, però, che con le loro sole forze, gravati di questi compiti, non riuscirebbero a sopravvivere, ecco perché la politica agraria dovrebbe intervenire in maniera strutturale e continuativa, lo Stato dovrebbe entrare in compartecipazione in queste imprese, garantendo un’integrazione al reddito che permetta alle famiglie che gestiscono queste aziende di vivere decorosamente, restando sul territorio e preservandolo dal degrado e dall’abbandono.
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