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l'opinione

La riforma delle Professioni finalmente in Parlamento

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On. Giancarlo Laurini (F.I.)

Speriamo che sia la volta buona per una seria riforma delle professioni.

Dopo la parentesi dell’estate con il decreto Bersani, finalmente il Parlamento si prepara a discutere una riforma generale delle professioni intellettuali. Il 26 settembre prossimo le Commissioni Giustizia e Attività produttive della Camera in seduta congiunta daranno il via alla discussione generale. La scelta di non perdere tempo è segno che la maggioranza ha dovuto rendersi conto che il modo in cui ha tentato di trattare il mondo professionale ha denigrato la dignità di milioni di italiani che, giustamente,  si sono ribellati ad una manovra che non risulta credibile. Sicuramente, il Parlamento si avvia ad un non facile lavoro, giacché il mondo professionistico italiano è molto complesso. Gli Ordini sono tanti e diversificati,  senza contare tutte quelle nuove categorie che mirano ad un riconoscimento. Un proficuo confronto tra Parlamento e Governo si potrà cominciare nel momento in cui si ha chiara l’idea che quando si parla di professioni liberali si hanno conseguenze importanti che vanno al di là della concorrenza ma incidono sul campo delle libertà e della sicurezza,  con un ruolo fondamentale di interessi generale. I provvedimenti varati nei mesi scorsi, sembrano  più verosimilmente   rispondere alla pressione dei grandi gruppi economici, sposando strumentalmente l’ormai nota diffidenza dell’Autorità Antitrust nei confronti degli Ordini  professionali, considerati alla stregua di lobby al servizio di se stesse e di ostacolo ai consumatori e allo sviluppo economico. Una diffidenza  superifcialmente e troppo spessp giustificata con esigenze “europee” laddove, ad esempio, il Parlamento europeo, in una risoluzione del 5 aprile 2001 ebbe a dichiarare che “le libere professioni rappresentano uno dei pilastri del pluralismo e che deve essere garantita l’indipendenza dei professionisti all’interno della società”.  E ancora, pochi mesi fa, esattamente il 23 marzo,lo stesso Parlamento europeo ha approvato una  Risoluzione  orale che afferma la necessità della loro organizzazione in sistemi autoregolamentati alla stregua di quelli oggi posti in essere da organismi e Ordini delle professioni legali. In precedenza la Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, al considerando 43, ultima parte, aveva stabilito che l’esercizio della professione negli Stati membri può essere oggetto a norma del Trattato, di specifici limiti legali sulla base della legislazione nazionale e delle disposizioni di legge stabilite autonomamente, dai rispettivi organismi professionali rappresentativi, salvaguardando e sviluppando la loro professionalità, la qualità del servizio e la riservatezza dei rapporti con i clienti. Da parte sua, la Corte di Lussemburgo, nella  Sentenza Wouters del 18 febbraio 2002, in causa C-309/99, relativa al divieto sancito dalla legislazione olandese (dSamenwerkingsverordening 1993) per gli avvocati di associarsi con i revisori contabili, ha stabilito che gli art. 52 e 59 del Trattato CE, (divenuti, in seguito a modifica, art. 43 CE e 49 CE), non ostano ad una normativa nazionale che vieti qualsiasi rapporto di collaborazione integrata tra gli avvocati e i revisori dei conti, giacché tale normativa può essere ragionevolmente necessaria al buon esercizio della professione di avvocato così come organizzata nel paese interessato.  Nella sentenza Arduino del 19 febbraio 2002, in causa C-35/99, la Corte ebbe a stabilire che gli art. 5 e 85 del Trattato CE (divenuti art. 10 CE e 81 CE) non ostano all’adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un Ordine professionale, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell’Ordine, qualora tale misura statale sia adottata nell’ambito di un procedimento come quello previsto dal regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578 . Con la citata sentenza Arduino, in realtà, la Corte di Giustizia ha ribadito il proprio indirizzo ammissivo della ingerenza degli Stati nella dinamica concorrenziale dei processi produttivi giustificabile “in ragione del perseguimento di interessi superiori e di obiettivi di interesse pubblicistico che trascendono quelli dei soggetti direttamente interessati dalla fissazione d’autorità della tariffa stessa”, dando così continuità, pur se con qualche distinzione, a precedenti pronunzie in cui le concrete modalità di intervento delle autorità pubbliche nella determinazione di tariffe obbligatorie avevano condotto a riconoscerne la legittimità. In definitiva, il Parlamento Europeo, il Consiglio e l’Alta Corte di Lussemburgo, considerano che le professioni legali non possano essere trattate a stregua di un qualsivoglia settore economico, che se ne debba riconoscere le specificità e che gli ordini professionali debbano essere salvaguardati. Se  pensiamo poi allo sperato effetto calmieratore dei costi delle prestazioni professionali, va detto che  l’esperienza olandese di qualche anno fa è stata sicuramente deludente. Il  rapporto della Commissione Ministeriale Hammerstain, ha rilevato infatti, che la liberalizzazione ha comportato un abbassamento solo dei massimi di tariffa a vantaggio dei cosiddetti contraenti forti (imprese, banche, compagnie di assicurazione ecc.) e un aumento di quelle medio-minime a tutto danno della gran parte dei consumatori che costituiscono la più diffusa e larga fascia di mercato. Inoltre, non si tiene conto della peculiarità di alcune professioni, specialmente nell’area giuridico legale. Pensare di parametrare i compensi delle prestazioni professionali al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, come ha fatto il decreto Bersani, eliminare l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, l’introdurre la pubblicità commerciale fino alla pubblicizzazione del prezzo della prestazione fornita dal professionista sono interventi che, ben lungi dal creare maggiore mercato per i professionisti e prezzi più convenienti per i cittadini, vanno a creare una minor protezione degli interessi dei  consumatori e eliminano quelle regole necessarie nell’ambito di ciascuna categoria ad assicurare imparzialità, competenza e correttezza dei comportamenti dei professionisti. Regole indispensabili a consentire agli Ordini quel controllo sulla  correttezza nello svolgimento delle prestazioni che è il compito più importante e delicato che essi devono svolgere nell’interesse generale. Per non parlare dell’effetto dirompente che l’eliminazione dei minimi tariffari avrà nel settore degli appalti pubblici, ove le imprese faranno il bello e il cattivo tempo, letteralmente travolgendo e mettendo fuori mercato gli studi professionali, come immediatamente e puntualmente denunciato  dagli organi di rappresentanza di tutte le professioni tecniche. Ancor più pericoloso proprio per il consumatore è il tentativo di “legare” il professionista ai risultati raggiunti dalla sua prestazione. L’attività professionale è basata prevalentemente su un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Con la norma introdotta viene intaccata l’autonomia del professionista, mettendo le basi per agili manovre elusive della  legalità difficilmente controllabili dagli stessi Ordini professionali. Né voglio immaginare quale intasamento si verificherebbe nei tribunali italiani a causa della enorme quantità di lavoro originato dalle “cause temerarie” che, nella speranza di un facile lavoro, avvocati di pochi scrupoli, gettando discredito sulla loro gloriosa categoria, intraprenderanno lusingando il cliente con convincenti argomentazioni di facili guadagni. La Pubblicità è sicuramente uno  dei temi scottanti dell’assetto delle professioni liberali, in quanto tocca aspetti dell’organizzazione, della filosofia e del modo di essere stesso del professionista intellettuale, a cavallo dell’etica e dell’efficienza, della cultura e della professionalità, che fanno della prestazione professionale un prodotto tutto speciale del “sapere” e “dei saperi”. Certo, non sono immaginabili oggi antiche preclusioni, chiusure e anatemi d’altri tempi su chi cerca di pubblicizzare il proprio nome e la propria specializzazione in un determinato campo professionale, ma di qui alla totale e sfrenata liberalizzazione del messaggio pubblicitario ne corre! In un’epoca in cui lo Stato tende a ritirarsi con il suo intervento cogente non solo dall’economia, ma anche dal più ampio e delicato campo dei diritti indisponibili dei cittadini, allargandone la sfera di autonomia  e autoregolamentazione dei rapporti socio-economici, interpersonali, è assolutamente in controtendenza imporre  autoritativamente regole e abolire divieti facendo violenza al principio, fondamentale in una democrazia liberale come la nostra, di autoregolamentazione dei vari corpi sociali, nell’ambito del quadro generale di garanzie per il cittadino e per la società. Il  mondo professionale è maturo e pronto per la grande complessiva riforma. L’abbiamo sfiorata due volte, alla conclusione della XIII e della XIV Legislatura, con il  frutto delle commissioni ministeriali Mirone e Vietti che lavorarono  con il personale impegno di Ministri e sottosegretari dell’ uno e dell’altro schieramento politico, giungendo a risultati condivisi anche da gran parte di quel complesso e variegato mondo  delle professioni tradizionali regolamentate e di quelle emergenti.  Mi auguro sinceramente che questa sia la Legislatura buona!

On. Giancarlo Laurini (F.I.)

Commissione Giustizia della Camera

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