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l'opinione

Studi associati e studi di settore

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di Massimo Brina - Coordinatore Aiga Piemonte

L’introduzione, avvenuta nel 2007, di nuove norme per l’impostazione degli studi di settore, con effetto retroattivo, essendo applicabili anche per le valutazioni delle dichiarazioni dei redditi relative ad anni precedenti, rappresenta un fatto decisamente grave se si pensa alla sua contrarietà, oltre che ai principi dell’ordinamento giuridico, anche allo stesso Statuto dei diritti del contribuente. Né le modifiche apportate dal D.L. 02.07.2007 n. 81 hanno ridimensionato il problema, essendo pacifico che gli studi di settore non creavano delle presunzioni legali: le presunzioni semplici, infatti, costringono egualmente il contribuente a dover spiegare all’Amministrazione finanziaria una situazione reale di cui i meccanismi presuntivi non tengono conto, comportando disagi se non contenziosi. L’analisi del programma Gerico (per la sua parte resa nota al pubblico) e l’esperienza delle categorie professionali – che sul punto si sono confrontate in un convegno tenutosi ad Alessandria con i dirigenti dell’Agenzia delle Entrate – hanno peraltro rivelato alcune anomalie di sistema che comportano inaccettabili sperequazioni.. In occasione della presentazione delle dichiarazioni dei redditi del giugno scorso, diversi colleghi avvocati, prevalentemente (ma non esclusivamente) giovani, hanno riscontrato nell’effettuare gli studi di settori con il proprio consulente che gli indicatori di normalità economica (congruità e coerenza) non venivano più soddisfatti, in contrasto con le risultanze degli anni precedenti ed in assenza di rilevanti variazioni sul piano reddituale; più in particolare, l’inconveniente si riscontra tra giovani colleghi che esercitano la professione in forma associata. Dalla simulazione attraverso diverse ipotesi reddituali è emerso che il sistema Gerico tratta in modo differenziato professionisti che, pur avendo redditi identici, esercitano la professione in modo individuale da quelli che la esercitano in forma associata: se per un avvocato che esercita il lavoro in forma individuale è coerente e congruo un reddito annuo di € 25.000, due professionisti associati per avere un reddito congruo e coerente devono dichiarare complessivamente € 72.000 ( anzichè € 50.000 come avverrebbe attraverso una somma algebrica di due diversi redditi individuali); se poi i due associati dell’esempio avessero anche un dipendente ecco che riscontrerebbero una normalità economica (dal punto di vista del Programma Gerico) solamente vicino a redditi di circa € 100.000 annui; in sostanza una segretaria incide, ai fini delle determinazioni presuntive dei redditi, più di un professionista! Ma se lo studio associato anziché essere composto da due professionisti, fosse composta da sei, la normalità economica si riscontrerebbe solo in presenza di redditi complessivi annui prossimi ai € 420.000. Sei associati con un dipendente sono congrui ad € 600.000! L’analisi di questa situazione rivela che probabilmente, nella parte non nota del Programma Gerico, elementi come l’esercizio della professione in forma associata, il numero stesso degli associati, l’esistenza - ed il numero - di dipendenti sono fattori moltiplicatori trattati alla stregua di status symbol e come tali necessariamente sintomatici di redditi elevati; la realtà è differente da tempo e chi conosce il mondo delle professioni sa benissimo che la situazione è enormemente cambiata negli ultimi anni. Se in passato gli studi associati rappresentavano momenti di rarità ed eccellenza, presenti quasi esclusivamente nelle realtà metropolitane, oggi gli stessi sono largamente utilizzati da giovani professionisti proprio come strumento di contenimento dei costi, essendo evidente che i costi fissi di uno studio sono inversamente proporzionali al numero di persone tra le quali possono essere ripartiti; così come, in presenza di un numero elevato di professionisti associati, il costo di un’impiegata assume un’importanza relativa rappresentando un onere economico decisamente esiguo. Del resto la critica che veniva rivolta alle professioni, da parte del mondo economico e politico, non era anche quella di utilizzare strumenti eccessivamente individualistici e quindi scarsamente adeguati alle esigenze di un mercato moderno? Se si vuole far cambiare le professioni spingendole verso modelli ritenuti ( a torto o a ragione) più rispondenti alle esigenze dell’economia si deve incentivare, e non penalizzare, l’uso di strumenti che agevolano i percorsi e riducono i costi; mentre fare riferimento, come è avvenuto nel caso degli studi di settore, a schemi che appartengono al passano o riferibili a situazioni di “nicchia”, rivela una scarsa attenzione verso il mondo delle professioni ed una mancata conoscenza della realtà. Come noto ai rappresentanti delle Istituzioni e del mondo politico, le libere professioni sono molto diverse rispetto al passato, anche sotto un profilo numerico che ne ha determinato una diversa caratterizzazione: forse è il caso che gli interventi normativi e regolamentari si facciano carico dell’esigenza di conoscere meglio il substrato sul quale si interviene, confrontandosi con le diverse categorie ed evitando di generare problemi su problemi.
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