Per gli infermieri non bastano gli slogan
di Giovanni Muttillo (presidente Ipasvi Milano)
L’emergenza infermieristica richiede interventi organici e diversificati dei quali l’aspetto economico è una delle tanti componenti. Non è sufficiente aumentare i posti per l’accesso ai corsi di laurea in Infermieristica se poi la professione non è appetibile, come viceversa lo è per altre professioni sanitarie, in primis Ostetriche e Fisioterapisti. Occorre pertanto ritornare sul tema della valorizzazione del ruolo professionale e di status sociale degli infermieri attraverso, innanzitutto, la prospettiva di una professione riconosciuta sotto il profilo della piena autonomia, come per le altre professioni sanitarie, delle opportunità di sviluppo professionale anche attraverso un pieno esercizio della stessa libera professione, delle prospettive di carriera, di effettivi trattamenti economici allineati con le altre professioni sanitarie ivi compresa quella medica. Questo aspetto è pregiudiziale per la soluzione del problema sia in relazione alle domande d’iscrizione ai corsi di laurea sia, di conseguenza, per un mercato del lavoro che veda un’adeguata offerta di nuovi professionisti. Le università possono essere anche a numero aperto, anzi apertissimo, come vorrebbe Formigoni, ma se la professione infermieristica non è appetibile rispetto alle altre professioni sanitarie cosa possiamo aspettarci che possa cambiare? Si sarebbe alla presenza di facoltà a numero “aperto” e iscrizioni a “numero chiuso”. Ne deriva, ad esempio, che la riforma delle professioni sanitarie, e infermieristiche in particolare, non richiede un adeguamento ai vecchi modelli organizzativi in cui la centralità medica rimane indiscussa e intoccabile, come, in effetti, si ha la percezione di cogliere dalle indicazioni della Regione Lombardia. Come si può pensare di adattare l’organizzazione esistente ad una legislazione innovativa, qual è quella di riforma delle professioni sanitarie, riconoscendo al ruolo della Dirigenza Infermieristica gli ambiti di autonomia e responsabilità, se non cambiando profondamente l’organizzazione adeguandola allo spirito della riforma. I nuovi modelli organizzativi devono riconsiderare ruoli e autonomia professionale di tutti i sanitari, e non è un problema squisitamente ed esclusivamente economico, è ben altro. E se non si evolvono i modelli organizzativi, e i sistemi di potere all’interno delle organizzazioni sanitarie, in cui il medico oggi non è un primus inter pares, ma solo un primus, come potrà mai essere interessante per un giovane intraprendere la carriera infermieristica. Anzi, è inevitabile che un tale giovane opterebbe ovviamente per lauree che nel vissuto sociale e sotto il profilo economico sono molto più appetibili. Non è certamente monetizzando il disagio degli infermieri costretti ad operare in ambiti in cui il personale è insufficiente (è organicamente insufficiente) che si migliora la qualità assistenziale. Non si può pensare di “calmierare” il disagio a colpi di qualche decina di euro, se poi i turni rimangono scoperti, gli straordinari inevitabili, i riposi non sempre garantiti. Non solo, ma oggi s’ignora, o si finge di ignorare, che il massiccio ricorso a figure professionali meno professionalizzate, quali OSS e OTA, anziché risolvere il problema dell’emergenza infermieristica, in effetti, lo aggrava ancor più. Innanzi tutto perché in tal modo si rinviano gli interventi necessari per rilanciare l’interesse dei giovani verso la professione, poi si strutturano, di fatto, con un carattere permanente, le organizzazioni sanitarie su figure meno professionalizzate con benefici di ritorno esclusivamente economici in relazione ai bilanci aziendali, ossia meno infermieri e più OSS uguale meno costi. Ma non vi è dubbio che la qualità del livello dei servizi sanitari s’impoverisce sempre più. A che serve individuare un percorso di formazione universitaria se poi, di fatto, via i vecchi infermieri il turnover è assicurato soprattutto attraverso il ricorso a personale meno qualificato e non sanitario, quali sono in effetti gli OSS e gli OTA? I Collegi Lombardi hanno chiesto di essere convocati, lo avevano già chiesto da tempo, e non tanto per discutere di trattamenti economici, ma di definizione del ruolo della professione e della qualità dell’assistenza che deve essere assicurata nelle aziende sanitarie. Significa discutere d’organizzazione, autonomia professionale, di definizione dei criteri per stabilire il fabbisogno del personale infermieristico in ragione della complessità assistenziale delle persone. Significa inoltre discutere dello sviluppo della ricerca in ambito professionale. Significa anche discutere degli aspetti economici, non ultimo quello dell’esercizio della libera professione, così come avviene per l’area medica. Ma non si può pensare di ricorrere allo slogan, così come fa la Regione Lombardia, di un più alto trattamento economico per risolvere tutti i problemi. Anzi, partire da questo aspetto significa, di fatto, svilire il problema e le aspettative dei professionisti che sono anche economiche, ma non solo. E dentro questo “non solo” non c’è qualcosa che è marginale o residuale, perché è qui che si collocano i più importanti nodi del problema. Ben vengano gli incontri, ma è ormai più di un anno che aspettiamo la convocazione del tavolo per trattare i problemi relativi all’Osservatorio delle professioni infermieristiche, previsto a suo tempo anche sotto la nostra spinta e poi finito in un angolo e sino ad oggi mai convocato. Questa del “più soldi = più infermieri” mi sembra la fase due della fase uno che è stata, almeno sino ad oggi, inconcludente. Queste sono le ragioni per le quali i proclami ci lasciano abbastanza scettici. Perché per affrontare il problema dell’emergenza infermieristica significa lavorare sodo e a lungo, anche un po’ in silenzio, perché le soluzioni non sono certo di breve periodo; ma non si possono in ogni modo improvvisare con slogan di circostanza e pensare che basta una ricaduta positiva d’immagine attraverso i media per dare gambe al cambiamento.
Ecco il testo dell’accordo