Class action all’italiana
di Fabio Sportelli (direttivo Federazione Triveneta Camere Civili)
“No grazie, sappiamo sbagliare benissimo da soli”. Torna alla mente questa vecchia battuta nello scorrere le disposizioni sulla class action, l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori, che i senatori Manzione e Bordon hanno voluto introdurre con un apposito emendamento (art. 53-bis) nella legge Finanziaria 2008, ora passata all’esame della Camera. Volendo (e dovendo, almeno in parte, a causa di vincoli costituzionali) distinguerci dal modello statunitense, ma anche dalle esperienze fatte da altri prima di noi, abbiamo fatto da soli e a modo nostro. Nella maniera peggiore e più frettolosa, si direbbe però. Con piena consapevolezza e contando forse su aggiustamenti “strada facendo”, è stato licenziato un provvedimento lacunoso, contorto e che potrà dare adito ad abusi. Dunque, non solo largamente imperfetto, ma incoerente anche con il lavoro svolto alla Camera, presso la Commissione giustizia e dopo una lunga serie di audizioni, all’esito delle quali la delicatezza della materia e la rilevanza delle ricadute sull’intero tessuto economico aveva suggerito l’opportunità di ulteriori riflessioni ed aggiustamenti. Del resto, i giudizio espressi da più parti non sembrano lasciare dubbi sulla quantità ed intensità delle critiche. Non solo da parte del mondo delle imprese (che ha parlato di un grave atto di ostilità, di una class action “all’amatriciana”, di “spaghetti law”, di un’azione inadeguata e ontroproducente che costituisce una zavorra insostenibile per il nostro sistema produttivo) e da parte dei legali (che, sconcertati dal blitz, hanno stigmatizzato il totale spregio delle indicazioni di merito e di metodo che l’avvocatura aveva formulato in sede di audizioni e in numerosi documenti). Anche esponenti della composita galassia consumeristica hanno espresso significativi rilievi critici (c’è chi ha parlato di “una bufala” per i cittadini che volessero costituirsi in un’associazione per la tutela dei loro diritti, di “un pastrocchio” a causa dell’assenza di danni punitivi e del complesso meccanismo del risarcimento, di una norma degna dell’”Italia di Arlecchino e di Pulcinella”). In effetti, non può che lasciare quanto meno perplessi che, nonostante i ripetuti allarmi sui gravi difetti evidenziatisi oltreoceano, non ci sia, ad esempio, preoccupati di apprestare un meccanismo di valutazione preventiva tale da prevenire l’attivazione di procedure pretestuose o temerarie e lo spregiudicato perseguimento di obiettivi poco trasparenti. Così come ci si chiede se sia stato legittima la scelta di limitare il diritto di difesa accentrandolo in una serie di associazioni espressamente riconosciute dallo Stato. Allo stato, la titolarità dell’azione è circoscritta alle sole 16 associazioni di consumatori ed utenti facenti parte del Consiglio nazionale consumatori e utenti. E’ fatta salva la possibilità che un successivo decreto interministeriale individui le ulteriori associazioni di consumatori, investitori e gli altri soggetti portatori di interessi collettivi legittimati ad agire ai sensi della norma, ma, ad esempio, sembrano dimenticati i comitati di cittadini, le forme di aggregazione più spontanea e democratica. Ancora, il provvedimento non disciplina lo svolgimento della causa collettiva, né indica criteri per la quantificazione dell’eventuale risarcimento. In caso di condanna, il giudice non lo liquida immediatamente, ma si limita a fissare dei criteri generali. La concreta quantificazione viene demandata ad una apposita Camera di conciliazione composta in modo paritario dai difensori dei proponenti l’azione di gruppo e del convenuto. Tale commissione, costituita dal giudice presso il Tribunale, viene presieduta da un conciliatore ugualmente nominato dal magistrato. In caso di inutile esperimento della composizione, “il singolo consumatore o utente” può “agire giudizialmente, in contraddittorio, al fine di chiedere l’accertamento, in capo a sé stesso, dei requisiti individuati dalla sentenza di condanna (…) e la determinazione precisa dell’ammontare del risarcimento dei danni riconosciuti ai sensi della medesima sentenza”. Considerata la cronica situazione di semiparalisi nella quale versa la nostra giustizia, possiamo immaginare gli effetti che un siffatto meccanismo potrà avere sul contenzioso civile e quindi sui tempi di risoluzione delle controversie. Senza dimenticare che, nel frattempo, le procedure previste dalla norma verranno ad intersecarsi si intersecheranno con le impugnazioni che, invariabilmente, anche in considerazione dei rilevanti danni che potranno essere liquidati, i soccombenti avranno proposto. Lo stesso ministro per lo Sviluppo economico, Bersani, ha dovuto ammettere l’esigenza di solleciti interventi correttivi riconoscendo che “la norma è suscettibile di un miglioramento dal lato, in particolare, di un filtro di garanzia rispetto a pratiche distorsive ed abusive del ricorsi”. Non sembra il viatico migliore per un provvedimento che, appena varato, denuncia una lacunosa e disarmante estemporaneità. Un giudizio critico che non può non accomunare anche un legislatore distratto e frettoloso, più attento all’effetto mediatico che alle conseguenze dei suoi atti, comprese le ripercussioni su una già asfittica capacità di attrarre investimenti. Non c’è da meravigliarsi se, assieme ad una sempre più palpabile disaffezione per la politica ed i politici, aumenta anche il divario tra loro e il Paese reale. Proprio ciò di cui l’Italia non avrebbe bisogno.