Il testamento biologico tra eutanasia e rifiuto dell’accanimento terapeutico
di Pier Luigi Mottironi
La comprensione dei meccanismi aritmici alla base della Morte Cardiaca Improvvisa, lo sviluppo tecnologico di strumenti atti a identificare automaticamente e combattere la Fibrillazione Ventricolare (Defibrillatori Automatici Esterni - DAE) e la possibilità di affidare anche ai non sanitari questi strumenti costituiscono la premessa fondamentale per la conduzione di una efficace lotta all’Arresto Cardiaco (AC). Il Italia il punto di svolta si è verificato nel 2001, quando un’apposita legge (n°120) ha permesso anche ai “laici”, purché opportunamente addestrati, di defibrillare in sede extraospedaliera, dove si realizza il maggior numero di casi di AC. E’ ben noto che purtroppo ancora oggi una gran parte delle vittime di AC non giunge viva in ospedale, ma la tendenza ad un aumento di quanti recuperano circolo e polso spontaneo è in aumento, seppur lento, a mano a mano che l’organizzazione di soccorsi migliora e la rete dei DAE e dei soccorritori “laici” si fa più fitta. Purtroppo molti pazienti, pur a fronte di un recupero immediato delle funzioni circolatoria e respiratoria, presentano gravi lesioni neurologiche che giungono spesso al coma “irreversibile”. Si tratta di esseri umani che hanno una speranza di vita talora limitata e che costituiscono un gravissimo problema sociale: essi permangono infatti a tempo indefinito nei centri di rianimazione “occupando” posti letto che non possono essere più destinati ad altri pazienti magari con migliore prognosi. Queste persone, perché di tale entità pur sempre si tratta, con elettroencefalogramma gravemente compromesso o con vita puramente vegetativa pongono ai rianimatori complessi problemi tecnico-scientifici e medico-legali, ma soprattutto conflitti di carattere etico e talora religioso. Tutto questo in presenza di una evidente difficoltà operativa che va dalla assenza di precise regole legislative, alla apparente contraddittorietà di alcune norme del giuramento professionale e del codice di deontologia medica, alla carenza di strutture atte ad accogliere questi pazienti, alla pressoché totale assenza di strutture di supporto per pazienti del tutto privi di autonomia. La situazione è ulteriormente complicata da spinte opposte che si sviluppano nella società attuale: da un lato la tendenza alla razionalizzazione e al pragmatismo spinti fino alle estreme conseguenze di interrompere le cure e quindi le sofferenze del paziente ma anche la sua vita, dall’altro la difesa strenua della vita stessa dal primo costituirsi dell’organismo vivente fino all’ultimo battito spontaneo del suo cuore e l’opposizione al relativismo etico. Non è improbabile che il miglioramento delle possibilità di intervento nella lotta all’AC, dovuto anche allo sviluppo della rete di soccorso, aumenti oltreché il numero dei pazienti sopravvissuti, anche quello di quanti vanno incontro a gravissime lesioni neurologiche, nonostante tutto l’impegno profuso per prevenirle. Di qui l’esigenza che il mondo della cultura filosofica, dell’etica, della legislazione e della religione fornisca ai medici impegnati in questa realtà principi - se non addirittura norme - sui quali basare le proprie scelte operative sempre, ovviamente, in accordo con la propria coscienza.