ACTION CLASS ANCHE IN ITALIA
Elisa Pastore
Anche in Italia l’action class.
Colloquio con Gerardo D’Ambrosio
L’ex pm Gerardo D’Ambrosio (nella foto), ora senatore dell’Ulivo, difende a spada tratta il decreto Bersani: favorisce l’inserimento dei giovani avvocati, aumenta la professionalità, da la possibilità alle categorie più svantaggiate di ricorrere alla giustizia. Non solo, invita a riflettere sulla possibilità di adottare anche in Italia, come negli Usa, l’action class, “Il Dl - ricorda D’Ambrosio - prevede l’abolizione delle tariffe minime favorendo sicuramente l’inserimento all’interno della professione dei giovani professionisti. Infatti, tra i giovani, il decreto Bersani è stato accolto con grande favore, non solo, ma aggiunge anche la possibilità di fare pubblicità. E non capisco perché gli avvocati non la vogliano, tutti gli altri professionisti possono farla e gli avvocati no. In più, nel decreto Bersani c’è l’abolizione del divieto di patto di quota lite, che secondo me, se ben regolato e ben disciplinato, può effettivamente allargare il ricorso alla giustizia anche a quella parte di non abbienti, visto che non tutti seguono la corsia del gratuito patrocinio. Attraverso il patto di quota lite, che tra l’altro anche adesso viene praticato da alcuni specialmente per quanto riguarda la materia delle pensioni, per esempio. Adesso lo si fa sottobanco, invece facendolo alla luce del sole e mettendolo per iscritto, aumenta anche la professionalità degli avvocati, che in questo caso rischiano in proprio e in quei casi in cui ci sia un fumus iuris molto consistente per l’esito positivo della causa. Quello che bisogna tener presente è che finora la tariffa degli avvocati è stabilita sulle prestazioni e non sul risultato, che viene preso in considerazione solo se è positivo, e l’avvocato si può permettere qualcosa in più anche del massimo delle tariffe. Il patto di quota lite necessita di una professionalità molto forte e di un aggiornamento, caso per caso, sulla giurisprudenza più recente. Cosa che non tutti fanno, perché quando si è pagati a prestazione si può avere anche l’avvocato che non si preoccupa dell’esito della causa, in un contesto dove c’è un numero enorme di avvocati, in Italia 135 mila (e il numero aumenta anno per anno) a fronte dei 30 mila in Francia. In questa situazione, se un cliente si presenta per una causa, l’avvocato la prende, invece con il patto di quota lite si selezionano le cause da portare davanti ai giudici e si ha più facilmente il passaggio ad una consulenza in cui l’avvocato, dopo aver studiato la controversia, e qui ha valore anche la pubblicità sui prezzi che pratica su questo tipo di consulenza può dire ‘guarda, secondo me, non c’è nessuna possibilità di vincere questa causa, e quindi è meglio che non la fai’, e quindi prendere il suo compenso per questo tipo di consulenza. Se invece ritiene, per la propria esperienza , per la propria preparazione, per la propria professionalità di poter far la causa con altissime possibilità di vincere, con il patto di quota lite si può fare tranquillamente. E quindi, secondo me, il patto di quota lite, così avversato tanto da provocare questo sciopero perché il codice lo vietava, dà molte possibilità. C’è negli Stati Uniti, dove gli avvocati si fanno pagare profumatamente, e con il patto di quota lite si possono fare le cause che poi hanno dato luogo all’action class, ossia dell’estensione della sentenza pronunciata ad altri casi che si trovano nella stessa situazione. Un problema che va studiato anche in Italia,con aspetti positivi e negativi, ma non va sottovalutato”.