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l'opinione

Per le Casse nuovo passo nella difficile autonomia

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di Guglielmo Saporito

La libertà dal tetto degli impegni economici che il Tar Lazio ha restituito alle Casse di previdenza dei professionisti - sentenza n. 10612 - è uno dei tasselli del complesso rapporto tra questi enti e le leggi finanziarie. Scontri e confronti avvengono su più linee su contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica (anche il decreto legge Bersani è intervenuto su questo fronte). Se unico è l'obiettivo, cioè la stabilità della finanza pubblica, i tentativi di fuga dal conto consolidato sono frequenti. In un quadro generale di frequente utilizzo di modelli privatistici, con sostituzione di enti pubblici con soggetti privati, una delle categorie logiche utilizzate è stata quella della produzione di beni e servizi non destinabili alla vendita (no market). Oggi vi si aggiunge anche quello della produzione di servizi a circuito chiuso, che non gravano sul bilancio pubblico. Le conseguenze della sentenza del Tar Lazio potrebbero avere impatto non solo sui tetti di spesa delle Casse, ma anche sullo status dei dipendenti, su reclutamento, contabilità e contratti oltre che sul controllo della Corte di conti. Le Casse acquistano una maggiore capacità di disporre di se stesse, anche se perdono alcuni privilegi, quali la sottrazione dei beni all'applicazione delle procedure di esecuzione forzata. Restano (per il decreto legislativo 509/1994) sottoposte a ingerenza (vigilanza dei ministeri del Lavoro e dell'Economia), ma riangono soggetti privati nella forma e nella sostanza: ciò deriva, secondo il Tar Lazio, dall'assenza di finanziamenti pubblici e dall'operare delle Casse senza incidere né sul livello della spesa pubblica né sul patto di stabilita' che vincola il nostro Stato a norma dell'articolo 104 del Trattato Ue. Segnali contrastanti vengono, tuttavia, da altre aule giudiziarie: la Cassa dei dottori commercialisti sono reduci da un'etichetta di «organismi di diritto pubblico» assegnata dalla Corte di cassazione a Sezioni unite. Dopo aver esaminato i limiti dell'autonomia organizzativa e contabile, la vigilanza e l'influenza pubblica, la Corte ha ritenuto applicabili alla Cassa le norme sulle gare di appalto pubbliche (sentenza 13398/2007). Stesso ragionamento ha subito Inarcassa, la Cassa di ingegneri e architetti (ordinanza 11088/2006). La sentenza del Tar del Lazio genera un solco tra le Casse e i numerosi soggetti che hanno organizzazione e attività regolata da forme e schemi privatistici: Anas Spa, Patrimonio dello Stato, il Quadrilatero Umbria Marche, Veneto strade, Poste italiane, Trenitalia, e via via fino alle società in house, sono tutti enti sottomessi a parametri di interesse pubblico. Parametri confermati, per le società in house, dalla decisone del Consiglio di Stato 1 del 3 marzo 2008 che mette anche in guardia da interpretazioni ardite sull'autonomia dei soggetti privati di derivazione pubblica, potenzialmente confliggenti con la normativa europea in tema di gare. Un eguale timore verso gli obblighi comunitari non è presente nella sentenza del Tar del Lazio, che nega all'Istat il potere di individuare attraverso elenchi i soggetti sottoposti a taglio di spese. Pochi mesi fa è fallito il tentativo di fuga dagli elenchi del bilancio consolidato dello Stato da parte di Coni servizi (Spa che ha come cliente principale il Coni): la sentenza del Tar Lazio 4826/2007 esclude che basti l'adozione di modelli privatistici per sottrarsi al bilancio pubblico consolidato. La società del Coni è quindi rimasta sottoposta ai tetti di spesa, mentre le Casse di previdenza si sottraggono ai limiti della finanza pubblica perché - a quanto sembra - i loro bilanci non incidono sull'erario pubblico.
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