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l'opinione

La battaglia contro la legge Bersani

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Oreste Dominioni

Alla legge Bersani vanno rivolte anzitutto critiche di metodo: nel disciplinare una materia tanto delicata si è ricorsi alla decretazione d’urgenza, è mancata una previa concertazione, si è ricorsi al voto di fiducia deprimendo anche il dibattito parlamentare. Quanto al contenuto, va denunciato che la legge Bersani è assurdamente portatrice di una concezione per cui l’avvocatura sarebbe una casta chiusa che profitta di privilegi storici ai danni dei “consumatori”: è una concezione economicistica delle professioni liberali che non ne coglie l’essenza e la funzione sociale e che, per quanto riguarda quella forense, ignora come si tratti dell’unica attività il cui indefettibile svolgimento è preso in considerazione dalla Costituzione come un diritto del cittadino. Quella che viene presentata come una “liberalizzazione” è al contrario una sottrazione alla figura dell’avvocato di quelle peculiarità che rendevano effettivamente “liberale” la sua professione, prima tra tutte le mancata dipendenza da rigide regole legali (e la corrispondente tradizione di autoregolamentazione dell’attività) e rispetto alle scelte della clientela. Verso l’esterno, invece, preoccupa che la “liberalizzazione” sia intesa nel senso, non ancora affermato ma chiaramente preannunciato, di consentire a nuovi soggetti, senza più regole d’accesso (tendenziale abolizione degli esami di abilitazione e degli Ordini), di fornire servizi legali, con il rischio non solo di uno scadimento qualitativo, ma anche della creazione di nuove forme di concentrazione (si pensi a banche, assicurazioni, sindacati). Sostanzialmente tutti i punti della legge Bersani vanno contestati. Abolizione dei minimi tariffari: si trattava di uno degli strumenti per garantire il decoro e la dignità della funzione, dalle quali dipende anche l’effettività della difesa; era una salvaguardia nei rapporti con i clienti economicamente più forti in grado ora di imporre tariffe sempre più basse. Abolizione del divieto di patto di quota lite: si passa dalla prestazione d’opera a quella di risultato; anche in questo caso è facile il rischio di subire le condizioni dei clienti forti; gli assistiti possono vedersi considerevolmente decurtato il quantum del loro effettivo diritto risarcitorio; l’avvocato lavora per un esito a cui è interessato. Possibilità di pubblicità informativa su titoli, specializzazioni, prestazioni e loro costi: grave rischio per la dignità e il decoro della funzione; mercificazione della professione; in mancanza degli albi di specialità, la pubblicizzazione delle specializzazioni professionali diventa una comunicazione potenzialmente ingannevole perché rimessa all’arbitraria auto-attribuzione. Spese di giustizia: introducendo il divieto di ricorrere all’anticipazione degli uffici postali si è procurato il blocco del pagamento delle difese dei non abbienti, vanificando un diritto costituzionale; riducendo pesantemente gli stanziamenti (-50 milioni nel 2006; - 100 milioni nel 2007; - 200 milioni nel 2008) si è dato un chiaro segnale di disinteresse del governo nei confronti delle esigenze dell’amministrazione giudiziaria. Nuove forme di contrasto e nuovi rapporti con le altre rappresentanze dell’avvocatura andranno definiti per combattere una situazione tanto grave.

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