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l'opinione

Professionisti sempre sotto scacco

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di Francesco Amoruso. (Vicepresidente Commissione Lavoro, Camera dei Deputati)

Nello scorso luglio era stato il decreto Bersani, stavolta è invece la Legge finanziaria. Dopo che in estate il governo aveva bocciato le richieste del centrodestra e in particolare di Alleanza Nazionale perché venisse finalmente del tutto riconosciuta la loro autonomia, le Casse di previdenza dei professionisti sperano in un cambio di marcia da parte del governo Prodi. Ma, c’è da temere, le loro speranze avranno anche stavolta scarse speranze di realizzarsi. L’Adepp, l’Associazione degli enti previdenziali privati, ha inviato qualche settimana fa una petizione al presidente del Consiglio, Romano Prodi, perché non ci siano dubbi sul fatto che le Casse non saranno toccate dalle previsioni degli articoli 42 e 47 della finanziaria. Queste due norme, in sostanza, affermano che bisogna sfoltire il più possibile gli enti di varia natura. La preoccupazione è evidente: cosa impedirà a un governo schieratosi apertamente contro le professioni col decreto Bersani e che in questa finanziaria vuole aumentare al 20 per cento la tassazione sulle rendite finanziarie (comprese quelle delle Casse che, è bene ricordarlo, vanno a finire nelle pensioni dei loro iscritti) di buttare la previdenza privata nel calderone? E’ vero che la natura delle Casse è di diritto privato. Ma alcuni fatti concreti – per esempio la loro inclusione nell’elenco degli enti pubblici stilato dall’Istat e una recente sentenza della Cassazione che ha dichiarato nulla l’assegnazione di un incarico perché fatta senza concorso pubblico – sono motivo d’inquietudine. Le richieste delle Casse, vedersi riconosciuta la propria autonomia normativa e gestionale, è molto semplice. Tanto semplici che, in una serie di emendamenti da me presentati in Commissione bilancio alla vigilia della discussione della finanziaria alla Camera, esse si limitano a nulla più che chiedere di aggiungere una breve frase – “gli enti previdenziali di cui al decreto legislativo 509/1994 e al decreto legislativo 103/1996” (cioè le Casse) – in fondo all’elenco degli enti esclusi dalla normativa degli articoli 42 e 47. In aggiunta altri emendamenti chiedono che alle Casse, in virtù della loro natura privata, non si applichi “la disciplina dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, e che sia semplificata la selva di adempimenti burocratici nei confronti del ministero del Lavoro (pur mantenendo il giusto controllo sugli atti delle Casse visto che esse erogano il diritto alla pensione che è espressamente tutelato dalla Costituzione). Infine si chiede che le Casse – qualora l’ammontare sia “superiore alla somma delle rivalutazioni garantite negli ultimi due anni” - possano utilizzare parte dei loro fondi di riserva per rendere più adeguate le pensioni erogate. Queste sono le richieste che le Casse fanno da sempre alla politica e che ho avuto modo di sentire ribadite pochi giorni fa partecipando a un grande convegno organizzato a Roma in occasione del decennale della nascita delle cosiddette “Casse del 103” (Eppi, Epap, Enpab, Enpap, Enpapi). Durante il governo Berlusconi la previdenza privata ha raggiunto grandi conquiste: su tutte la totalizzazione, la maternità delle professioniste e soprattutto la previdenza complementare. Purtroppo questo percorso virtuoso, le cui tappe successive sarebbero state l’eliminazione della doppia tassazione che, caso unico in Europa, grava sulle Casse e l’affermazione della loro autonomia, non ha potuto proseguire. Con serietà il centrodestra ne ha preso atto e ha cominciato, attraverso i mezzi parlamentari prima in occasione del decreto Bersani e adesso della finanziaria, a porre al governo e alla maggioranza in carica questioni che non sono di bandiera ma di puro buon senso. Finora le risposte sono state negative. E la probabile decisione del governo di porre la fiducia sulla finanziaria taglierà le gambe anche agli emendamenti di Alleanza Nazionale sulla previdenza dei professionisti.

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