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CASSE E AUTONOMIA: L’EMENDAMENTO FANTASMA DEL GOVERNO

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Francesco Amoruso (An) (vicepresidente Commissione Lavoro della Camera)

Nel corso del Decennale dell’Adepp svoltosi a Roma il 23 novembre, il sottosegretario all’Economia, Mario Lettieri, ha rivolto un appello ai professionisti perché partecipino al grande disegno riformatore del governo. Parole davvero stonate non solo in relazione alle mosse quantomeno azzardate compiute in questi primi mesi di legislatura verso i professionisti, ma anche al contesto nel quale esse sono state pronunciate. Da pochi giorni, infatti, la Camera ha approvato una legge finanziaria in cui semplicemente non esiste l’emendamento sulla previdenza privata promesso dal governo all’Adepp con tanto di annunci in grande evidenza sui maggiori quotidiani economici. Questo emendamento, ci aveva informato la stampa, avrebbe dovuto affermare l’autonomia gestionale e normativa delle Casse di previdenza private e al tempo stesso allungare obbligatoriamente la proiezione dei loro bilanci tecnici (cioè gli strumenti che delineano la sostenibilità finanziaria nel lungo periodo). Il mancato rispetto delle promesse da parte del governo, tanto più grave perché riguarda i temi che più stanno a cuore alle Casse, è inammissibile. E, aggiungo dal mio personale punto di vista, lo diventa ancor di più se messo in relazione all’atteggiamento della maggioranza sulla previdenza privata durante la discussione della finanziaria. Ben nove emendamenti di Alleanza Nazionale – il cui scopo era di venire incontro alle ovvie richieste dell’Adepp (rendere più flessibili i massimali contributivi, possibilità di utilizzare parte dei fondi di riserva oggi bloccati per legge, potenziare lo strumento dell’assistenza sanitaria integrativa, rendere più funzionali gli organi direttivi e semplificare i rapporti burocratici col ministero del Lavoro) – sono stati impietosamente bocciati in Commissione Bilancio. Poi, non contento, il centrosinistra hanno detto “no” a un mio semplicissimo ordine del giorno che, senza alcuna spesa a carico dello Stato, chiedeva di escludere le Casse dalla previsione dell’articolo 47 della finanziaria (poi diventato uno degli 800 e passa commi dell’articolone unico sul quale è stata posta la fiducia) che “riordina, sopprime o trasforma” una serie di enti. L’autonomia delle Casse – io stesso ne sono lucidamente consapevole – è stato un obiettivo perseguito anche dal centrodestra nella passata legislatura, ma senza successo. Eppure i contesti in cui si inserisce la sua mancata affermazione allora e adesso sono molto diversi. Sin dal 2001, infatti, l’allora maggioranza si mise al lavoro e cinque anni dopo i risultati furono ampiamente positivi: la totalizzazione dei periodi contributivi fu raggiunta col decreto legislativo n. 42/2006; la possibilità di gestire la previdenza complementare e l’assistenza sanitaria integrativa fu data alle Casse con la delega previdenziale del 2004; il tetto massimo all’indennità di maternità fu centrata per via parlamentare. Oggi, invece, ci troviamo di fronte a un governo e a una maggioranza parlamentare che sul piano della previdenza privata sembrano purtroppo impegnate – pur di tenere buone la sinistra radicale che vuol “far piangere i ricchi” – se non ad attaccare direttamente i professionisti come è stato nel caso del decreto Bersani e come sembra possa essere col riordino delle professioni voluto da Mastella, quantomeno a boicottare, con tanto di false promesse, le richieste delle Casse. In un quadro del genere è pura utopia sperare che ci siano le condizioni politiche per intervenire su questioni complesse come, ad esempio, l’abolizione della doppia tassazione a carico delle Casse. E soprattutto, fatti alla mano, nessun esponente del governo potrà mai rassicurarci del tutto sul fatto che lo Stato non verrà mai preso dalla tentazione di attingere dai patrimoni delle Casse.

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