I Tributaristi con Mastella.
Di Roberto Falcone Presidente Lapet
La bozza della proposta di riforma delle professioni presentata dal ministro della Giustizia Clemente Mastella trova il pieno consenso della Lapet. Del resto non potrebbe essere diversamente dal momento che è venuta alla luce dopo il giro di audizioni con gli ordini e le associazioni professionali, alle quali anche i tributaristi hanno partecipato. E’ quindi frutto di un confronto fondato su suggerimenti e concertazione. L’approvazione della Lapet trae anche origine dalla constatazione che il ministro della Giustizia ha fotografato esattamente la realtà, in maniera obiettiva e senza sbavature. Il risultato è un testo che permette di oltrepassare gli ostacoli che finora hanno impedito l’ammodernamento del sistema professionale, nel senso più vero della parola. Con la lettera D prima e con la lettera F dopo, del comma 1 dell’articolo 8, si possono infatti archiviare definitivamente l’annosa questione delle sovrapposizioni e la diatriba sulle attività riservate. La lettera D, con il rimando alle associazioni professionali che devono prevedere la precisa identificazione dell’attività a cui si riferiscono, consentirà infatti, una volta approvati i decreti attuativi, il riconoscimento delle professioni. Mentre la lettera F, attraverso la nuova prospettiva di individuare che si tratta di professionisti iscritti ad un’associazione piuttosto che ad un ordine, potrà – sempre chiaramente nella seconda fase dei decreti attuativi – rendere il sistema trasparente. Oltrepassando tutti i pregiudizi ed i veti del passato, all’utente sarà infatti data la libertà di scelta nell’ambito delle rispettive competenze. E sarà pertanto garantita in questa maniera la netta e chiara distinzione tra gli ordini e le associazioni. Una differenziazione che non può essere fatta attraverso l’introduzione di eventuali altre riserve, come si è ipotizzato nei giorni scorsi. Ce ne sono già troppe e crearne nuove produrrebbe di sicuro più danni che vantaggi. Inoltre non è ammissibile per due diverse e inopinabili ragioni. La prima è che il mondo delle professioni non si limita solo ed esclusivamente alle categorie economico-contabili. Sarebbe semplicistico un ragionamento di questo tipo anche perché un atteggiamento simile comporterebbe una reazione a catena in tutti i settori. Ogni categoria professionale finirebbe per cercare di attribuirsi competenze specifiche, sottraendole ad altre che svolgono attività simili. E questo sarebbe un’assurdità dimostrata dal fatto che non è previsto dalla legge. La seconda ragione per la quale non si devono in alcun modo creare nuove riserve deriva proprio dall’obiettivo di questa legge, sempre più urgente e necessaria. La riforma delle professioni nasce infatti dall’esigenza di eliminare le barriere e gli ostacoli allo sviluppo del mercato. Così vuole anche l’Europa, alla quale l’Italia dovrà adeguarsi entro il 2010 secondo quanto stabilito dai parametri dettati a Lisbona nel marzo del 2000. Dunque, se fondare l’economia sul settore della conoscenza dovrà presto essere la normalità, è opportuno smuovere tutti i possibili ostacoli in quest’ambito. E non è affatto plausibile innalzarne di nuovi. Quelli che esistono del resto sono inutili e anacronistici, in alcuni casi. Non in tutti, chiaramente. Basti ad esempio pensare alle professioni sanitarie e a quelle legali dove le riserve sono indispensabili. Diversamente, sono solo figlie di un contesto economico che non esiste più già da tempo. A questo punto la Lapet non può che sollecitare il governo affinché questa proposta possa transitare subito nelle aule parlamentari, diventando legge quanto prima. Non certo nell’interesse dei tributaristi, ma per quello più generale del Paese.