Diritto al riposo giornaliero addio!
Continua la polemica sulle norme della Finanziaria. La denuncia dell’Ipasvi di Milano. Con il Decreto Legislativo n. 66 del 8 aprile 2003, il nostro Paese dava finalmente attuazione ad importanti direttive europee in materia d’organizzazione dell’orario di lavoro, allineando finalmente la normativa italiana a quella degli altri Paesi europei. In particolare il riposo giornaliero era stato riconosciuto con la direttiva europea, quale diritto del lavoratore, sin dal 1993 e in Italia solo dal 2003, ben 10 anni dopo e sino ad oggi in molte realtà sanitarie non ancora pienamente riconosciuto.
Con l’articolo 7 del Decreto era stabilito che il lavoratore aveva diritto a 11 ore di riposo giornaliero consecutivo ogni 24 ore. Un principio, per i lavoratori europei, di civiltà. Non solo, la norma stabiliva in modo inequivocabile che ad ogni lavoratore pubblico o privato doveva essere assicurato un riposo, ossia una pausa al termine della giornata lavorativa o del turno lavorativo, non inferiore alle 11 ore prima di riprendere il lavoro nel giorno o nel turno successivo. Un principio per la verità ovvio ed elementare. Del resto com’era ed è possibile prevedere un riposo giornaliero più breve considerato che al termine della giornata lavorativa, o del turno, il lavoratore deve poter usufruire di un periodo di riposo durante il quale: poter raggiungere la propria abitazione, riposare, ovvero dormire per il tempo necessario (almeno 7 o 8 ore), accudire agli impegni personali e familiari e, alla fine, raggiungere nuovamente il posto di lavoro.
Non solo ma lo stesso decreto con l’art 17 stabiliva che le disposizioni di garanzia dei diritti anche in materia di riposo giornaliero potevano essere derogate attraverso contratti collettivi o accordi conclusi a livello nazionali tra le organizzazioni sindacali più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di lavoro firmatarie dei contratti collettivi nazionali di lavoro. In ogni caso in mancanza di disciplina collettiva il ministro del lavoro e delle politiche sociali, anche di concerto con il ministro della funzione pubblica, avrebbe potuto adottare un decreto per stabilire le eventuali deroghe ma solo su richiesta delle organizzazioni sindacali nazionali di categoria.
L’applicazione del decreto sul riposo giornaliero trovava, soprattutto nelle aziende sanitarie pubbliche e private, una scarsa e lenta applicazione; non poche aziende ospedaliere non avevano ancora riconosciuto sino ad ora ai propri lavoratori il diritto di usufruire del previsto riposo giornaliero. Solo recentemente le aziende sanitarie si erano attivate per applicare il decreto su sollecitazione e intervento da parte degli Ispettorati del lavoro che avevano comminato in non pochi casi pesanti sanzioni alle aziende inadempienti.
Le ragioni della mancata o ritardata applicazione della legge erano chiarissime, e non certo imputabili alla scelleratezza del legislatore o alla volontà masochistica dei lavoratori.
Per anni le aziende sanitarie, soprattutto ospedaliere, avevano potuto assicurare la copertura del servizio attraverso un massiccio ricorso allo straordinario, con turnazioni che finivano molto spesso per non assicurare i previsti riposi giornalieri e settimanali, che imponevano spesso il rinvio delle ferie, ciò sempre in palese violazione dei contratti collettivi, in particolare del settore pubblico, che stabiliscono inequivocabilmente che lo straordinario non può essere utilizzato per l’ordinaria programmazione dell’attività e che le ferie devono essere fruite entro e non oltre il primo semestre dell’anno successivo. Turni di lavoro che sistematicamente prevedevano spessissimo un intervallo, fra l’uno e l’altro, raramente superiore alle 7 ore.
Programmi di turnazione che costantemente non
garantivano una corretta programmazione dei riposi e delle ferie. Il Decreto
metteva così in evidenza la nota carenza d’organico, il sottodimensionamento
del personale, il ricorso massiccio e contrattualmente illegittimo allo
straordinario, scaricando sui lavoratori, e soprattutto sugli infermieri, gli
oneri dei propri disservizi e della poca lungimiranza nella gestione e sviluppo
dei servizi.
Ebbene, il Governo in prima persona, su iniziativa di uno “zelante” sottosegretario, preso atto della difficoltà nell’assicurare ai lavoratori della sanità il previsto riposo giornaliero, anziché affrontare il problema nel merito, prendendo atto delle condizioni abnormi in cui si erano venuti a trovare i lavoratori, ricercando così soluzioni per garantire i diritti stabiliti dal decreto legislativo del 2003, fa un’operazione che appare di vera e propria follia istituzionale. Con un brevissimo comma della legge finanziaria del 2008, il comma 85 dell’art. 3, è stabilito per legge che “le disposizioni di cui all’art. 7 non si applicano al personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale, per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia d’orario di lavoro, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”.
Il problema delle carenze di organico viene rimosso, ma solo sulla carta, sopprimendo una norma che era e rimane di elementare civiltà in materia di diritti dei lavoratori.
La norma messa nella legge finanziaria è ingiusta, discriminante, sbagliata, ipocrita, pasticciata e illegittima.
È ingiusta perché sopprime un diritto elementare in materia d’orario di lavoro, costringendo i lavoratori della sanità a orari che da anni sono ormai intollerabili.
È discriminate perché in materia di diritto pone su un piano diverso i lavoratori della sanità, pubblica e privata, rispetto agli altri lavoratori europei, ma non solo, anche rispetto agli altri lavoratori del nostro Paese.
È sbagliata:
perché anziché risolvere il problema che è di natura organizzativa, riguardando la dotazione organica, e la gestione dei servizi scarica ogni onere direttamente sui lavoratori, e sugli infermieri in particolare, abrogando un diritto elementare in materia di riposo giornaliero.
perché in materia di diritti si fa rinvio alle disposizioni contrattuali e ai principi della protezione e della sicurezza e della salute dei lavoratori, ben sapendo che il fatto stesso di trovarci di fronte ad un diritto non applicabile, quale il diritto al riposo giornaliero, si palesa chiaramente, attraverso il ritorno al vecchio regime, perpetuando sine die sia la violazione delle norme contrattuali in materia di straordinario sia, di conseguenza, gli effetti negativi di ricaduta, come già avvenuto in passato, proprio sulla sicurezza e salute dei lavoratori.
perché prende in considerazione, senza un’analisi di merito e di metodo, il solo personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale, ignorando che il personale sanitario lo si ritrova anche in altri comparti; basti pensare al personale sanitario degli enti locali e delle RSA nella quali spesso non trova applicazione il contratto della sanità.
È illegittima e doppiamente illegittima: innanzitutto
perché senza nemmeno una valutazione di merito disattende delle direttive
comunitarie e inoltre perché viene emanata una norma di deroga senza le
necessarie consultazioni con le rappresentanze dei lavoratori, presupposto
necessario e obbligatorio per l’adozione di un qualsivoglia provvedimento di
deroga all’art. 7.
È necessario che in tempi brevissimi si ponga rimedio abrogando
il comma 85 dell’art 3 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, una scelta
indubbiamente scomoda per il Governo ma necessaria per porre rimedio ad una
decisione sbagliata, iniqua e che se fosse confermata non fermerà in ogni caso
gli operatori della sanità non più disponibili a subire quella che appare
un’ennesima provocazione.